Pagina:Laerzio - Vite dei filosofi, 1842, I.djvu/57

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solone. 35

gran fatto agli Ateniesi, nè il tuo purificare la città giovò ad essi; perocchè e gli Dei e i legislatori non possono per sè stessi giovare gli stati. Bensì coloro che sempre conducono la moltitudine come più loro è a grado. Ond’è che e i Numi e le leggi, se la conducono al bene, sono profittevoli; a nulla giovano, se malamente la conducono. Nè a me sono utili, nè a tutti le leggi ch’io feci. E cotesti arbitri nocquero al comune non facendosi ostacolo a Pisistrato che mirava ad usurpare la tirannide. Nè io che il predicava era creduto. Più si credeva a costui, piaggiatore degli Ateniesi, che a me veritiero. Finalmente deposte le armi dinanzi al palazzo dello stratego, dissi, ch’io era più prudente di chi non s’accorgeva che Pisistrato aspirava alla tirannide, e più forte di chi non osava resistere, e dessi la credettero una pazzia di Solone. Partendo protestai: Oh patria! questo Solone però è pronto a soccorrerli col consiglio e coll’opera, e a costoro invece sembro impazzire. Ond’io mi parto da voi, io, solo nemico di Pisistrato; e costoro se vogliono siano anco i suoi difensori — Oh amico! tu conosci l’uomo che con tanta scaltrezza si è messo ad occupare la tirannide. Cominciò a farsi amico il popolo; poscia feritosi da sè stesso si presentò agli Eliasti, e gridando sclamò: ciò aver patito per opera de’ suoi nemici, ed essere conveniente che una guardia di quattrocento giovani gli stesse da presso. Non mi si ascoltò: ebbe gli uomini da presso e armati di lancia! E dopo abbattè lo stato popolare. Tornò quindi inutile ch’io m’affrettassi