Pagina:Laerzio - Vite dei filosofi, 1845, II.djvu/137

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zenone. 121

lontano da Canopo cento stadj e chi uno, del pari non è in Canopo, così anche colui che pecca più o meno, non è egualmente in sul retto operare. Per altro Eraclide di Tarso, famigliare di Antipatro di Tarso, e Atenodoro, credono ineguali i peccati. Dicono gli Stoici, secondo l’asserzione di Crisippo, nel primo Delle vite, potere il sapiente, se qualche cosa non lo impedisca, amministrare la repubblica, per allontanarne il male ed eccitare alla virtù; e secondo l’asserzione di Zenone nella Repubblica, anche ammogliarsi e fare dei figli. Il sapiente, dicono ancora, non emetterà alcuna opinione, e con ciò non assentirà ad alcuna cosa falsa. E seguiterà i Cinici, poichè il cinismo, secondo Apollodoro nell’Etica, è una scorciatoja alla virtù. E potrà mangiare per necessità eziandio carni umane. Solo esso libero, e schiavi i cattivi, poichè la libertà è il potere di operare da sè, la schiavitù la privazione del potere di oprar da sè. Dicono esservi anche un’altra maniera di schiavitù, che consiste nella suggezione, ed una terza che nell’acquisto e nella suggezione a cui è contrapposta la padronanza, che anch’essa è un male. E non solo liberi i sapienti, ma anche re, essendo la regia autorità un potere assoluto da non costituirsi che ne’ soli filosofi, secondo che dice Crisippo nel libro Dello aver Zenone usato in senso proprio i nomi. Poichè chi impera dee conoscersi circa il bene ed il male, e nessuna di queste cose sanno i cattivi. E soli parimente abili al governo, al foro, all’eloquenza, ed a nulla i cattivi. Anco impeccabili, perchè non cadono in peccato; e innocui perchè non nuocono nè agli altri nè a sè. Non per altro compassionevoli,