Pagina:Laerzio - Vite dei filosofi, 1845, II.djvu/387

Da Wikisource.
362 epicuro.

„Nel dì felice ed ultimo insieme di nostra vita scrivevamo a voi queste cose. La strauguria ed i patimenli disenterici de’ quali fummo presi non lasciavano che aggiugnere alla loro violenza. Contrapponevasi per altro a tutti questi mali la contentezza dell’animo per la memoria de’ nostri trovati e dei nostri argomenti. Tu poi, come s’addice alla dimostrazione che giovinetto facesti sì verso me che verso la filosofia, fa di aver cura dei figli di Metrodoro.“ — Così testava.

XI. Ebbe molti discepoli assai celebri, Metrodoro ateniese, e Timocrate, e Sande lampsaceno . . . . . il quale (Metrodoro) da che conobbe il filosofo, non s’allontanò più da lui, fuor sei mesi, andando a casa, indi tornò. Fu in ogni conto uom dabbene secondo che, e scrive Epicuro, nelle Principali, e anche Timocrate attesta nel terzo. E quindi per esser tale diede anche in moglie a Idomeneo la sorella Batide; e presa con sè la Leonzio, una cortigiana ateniese, se la tenne per amica. Costui, al dire di Epicuro, nel Primo Metrodoro, era imperturbabile nelle avversità e in faccia alla morte. È fama che morisse sett’anni prima di lui, essendo ne’ cinquantatrè. Ed Epicuro stesso, nel surriferito testamento, siccome evidentemente morto prima di lui, comanda che s’abbia cura de’ suoi fanciulli. Ebbe anche un inconsiderato fratello, il prefato Timocrate. I libri di Metrodoro sono questi: Ai medici, tre — Dei sensi, a Timocrate — Della magnanimitàDella infermità di EpicuroContro i dialetticiContro i sofisti, nove — Della via della sapienzaDella mutazio-