Pagina:Laerzio - Vite dei filosofi, 1845, II.djvu/403

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375 epicuro.

nè immaginiamo come possa esser visibile un atomo. In oltre non dobbiamo pensare che in un corpo finito vi sieno dei corpicciuoli infiniti, che che grandi; di modo che non solo va tolta la divisione in infinito nel meno, onde ogni cosa non facciamo debole, e, come nelle unioni degli aggregati, non isforziamo, comprimendo ciò che è in ciò che non è, a consumarsi; ma nè pure è mestieri di credere che siavi passaggio in meno nelle cose che sono finite all’infinito. Poichè quand’anche taluno avesse detto che i corpicciuoli sono infiniti o di qual siasi grandezza, non si può intendere, come abbia anche il finito quella grandezza, essendo manifesto che i corpicciuoli che hanno alcune quantità non sono infiniti; poichè se questi, da cui quelle quantità qualunque venissero, fossero infiniti, avrebbero anche una grandezza e un’estremità nel finito che si potrebbe comprendere; e se non è osservabile per sè stesso, nè pure quel che segue da ciò non è tale da intendersi, e così da quel che segue andando a quel che precede, il pensiero avrà da ciò argomento per arrivare all’infinito. E quel minimo che è nel senso si dee concepire che nè tale sia quali sono le cose che hanno un cangiamento, nè in ogni parte al tutto dissimile, ma abbia alcun che di comune con ciò che si muta, e non ne prenda le parti: ma quando per la similitudine della comunanza qualche cosa crediamo prendere da lui, ora in questa parte, ora in quella, siamo costretti a cadere nell’eguaglianza. In seguito, queste cose osserviamo incominciando da un primo, e non in sè stes-