Pagina:Lando - Paradossi, (1544).djvu/210

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IL SECONDO LIBRO

tia, degna d'esser castigata, non con semplici rimprocchi, ma con accerbe battiture, ch'egli fusse come io vi dico nel scriver trascurato non si creda a me, ma credasi a lui stesso, il quale, essendo da dotti amici corretto et ammonito, o confessava l’errore, nel quale era trascorso, transferendone la colpa alla sua smemorataggine, o si scusava con l'addur qualche altro simile a lui mentecatto, il che in molti luoghi dell'opere sue apparisce, de quali, per confirmatione della uerita basterammi al presente recitarne uno, over dui, et et cosi ammonire e diligenti lettori ad osservarne quasi infiniti per l'opere sue sparsi. dico adunque non esser hoggi, huomo al mondo che habbia punto di cognitione delle cose passate, il quale non sappia che gli giurisconsulti antichi volendo tenere la professione loro in qualche riputatione havessero ordinato certe formole, et certi giorni, ne quali si potessero solamente proporre le attioni davanti a giudici, et quelli ridotti in certi lor libri, che Fasti chiamavano, esser poi stato un certo Plebeio, il quale, sendo lor segretario, rubbo quelli fasti, et gli divulgo al popolo, et fu tanto grato questo dono, che non ostante ch'egli fusse ignobilissimo, il popolo lo fece edile Currule, lo nome di costui non e cosi ben noto, credettesi gia ch'egli si chiamasse Gn. Flavio, et cosi credette l'autore della origine delle leggi, ma e dotti sapevano che non fu Flavio, tuttavia Cicerone