Pagina:Lando - Paradossi, (1544).djvu/213

Da Wikisource.

DE PARADOSSI 103

me, et difidera l'eccettione, dove la non poteva in alcun modo cadere, et forse ch'egli non ne prese consiglio con un giuditioso huomo, con un polito ingegno, conciosia che anchora che in qualche luogo dell'opere sue n'habbi honoratamente parlato, poi che Dionifio lo lascio di lui facendosi beffe et scherno havendo pur assai per tempo conosciuto la vanita del suo cervello, incominciollo a biasimare, et per ignorante et leggiero reputare, confessando d'haver assai guadagnato havendo perduto sua conversatione, soggiugne poi tuttavia scusandosi, et fa un'altro maggior fallo, dicendo, che quantunque sapesse che Tene, Alifena, et Tritia stessero fra terra, haver non dimeno creduto ch'elle fussero di nuovo edificate, conciosia che Homero nella rasegna delle navi non ne faccia mentione, quasi che le navi si facessero per uso delle citta, che sono dentro a terra, o che Homero havesse tolto l'assunto di discrivere altro che le navi mandate dalli habitatori di Gretia verso il mare? et aggiugnendo errore a errore, dice che la Grammatica l'ha ingannato, facendo certe sue sciocche dirivationi, quali lascio vedere a chi non sia tanto stomacato della sua lettione quanto sono io di presente. Ma quel che recitero hora non potendosi in verun modo scusare, confessalo non senza suo gran vituperio et scrivendo ad Attico cosi dice, Bruto mi ha rifferito in nome di T. Ligario che se nella