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Le Necropoli di Mutina
Lo stato della ricerca
stato più volte lamentato lo stato estremamente lacunoso delle testimonianze archeologiche riferite alla città romana. Questo fatto deriva dalla casualità della ricerca resa ancora più episodica e complessa per la profondità del paleosuolo che si attesta, in alcune zone, a 11 metri dal piano attuale, occultato da sedimentazioni a carattere alluvionale di spessore variabile da 0,50 a 7 metri (Cardarelli et al. 2001). La situazione geomorfologica ed in particolare paleoidrografica del sito urbano antico ha favorito la formazione di tali depositi, documentati già dalla prima età imperiale, e più consistenti e diffusi tra la fine del VI e gli inizi del VII secolo, in concomitanza con peggioramenti climatici associati ad un generale dissesto ambientale del territorio.
Le circostanze che consentono di raggiungere quote così significative nel centro storico sono pertanto relativamente scarse e limitate ad interventi di particolare entità. Ne deriva che la ricostruzione dell’impianto urbano antico, allo stato attuale delle ricerche, è affidata alla localizzazione dei rinvenimenti, all’individuazione di alcuni tratti di strade e di una piazza lastricata, presumibilmente connessa al foro, dove sono documentate statue imperiali dal II al IV secolo (Giordani 2000). Sono del tutto carentile conoscenze nei settori dell’architettura sia pubblica che privata. Per quanto concerne l’edilizia privata, sono attestati alcuni resti di pavimentazioni musive. Ad un complesso termale di uso pubblico appartenevano elementi murari e pavimentali, mirabilmente illustrati dalle sezioni e piante di uno scavo condotto nella seconda metà del XIX secolo, mentre resta a tutt’oggi del tutto indiziaria l’esistenza di un edificio per spettacoli, con ogni probabilità un anfiteatro (Lippolis 2000, Giordani 2000). L’arte colta è rappresentata dai pregevoli oggetti d’arredo provenienti da una domus, localizzata nell’isolato tra via Università e via S. Cristoforo e dalla lastra con bassorilievo raffigurante l’uccisione dei Niobidi (Rebaudo 1988; Lippolis 2000a).
Le uniche attestazioni sulle quali è possibile impostare un discorso organico restano quelle di ambito funerario, dalle quali si possono trarre elementi di conoscenza sulla topografia urbana, sulla cultura figurativa, sulle manifestazioni di carattere cultuale e sul tessuto socio-economico. Per impostare un’analisi di carattere generale a riguardo, affrontata solo per cenni nel presente contributo, è necessario considerare l’insieme delle testimonianze note attualmente conservate in varie sedi museali, tra le quali si distingue, per consistenza numerica e qualitativa, il Museo Lapidario Estense. Altri reperti sono reimpiegati nella Cattedrale e nella Torre Ghirlandina o collocati presso il Museo Lapidario Diocesano ed il Museo Civico Archeologico Etnologico.
Le circostanze che favorirono il recupero di tali testimonianze si datano a partire dalla costruzione del Duomo e della Ghirlandina, che alimentò la ricerca intenzionale delle “belle prede” provenienti dalle zone sepolcrali urbane (Parra 1988). I materiali lapidei, già oggetto di riutilizzo puramente funzionale in età antica, divennero ispirazione e modello per gli apparati scultorei della Cattedrale, dove i simbolismi pagani venivano ripresi e caricati di un nuovo significato cristiano (Rebecchi 1984). Le scoperte più consistenti si collocano, tuttavia, tra il XIV e gli inizi del XIX secolo, in relazione alle successive opere di costruzione ed abbattimento della cinta difensiva. Nel periodo tra l’immediato dopoguerra e gli anni
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