Pagina:Le Novelle Indiane Di Visnusarma, UTET, 1896.djvu/103

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libro secondo 95

Perchè son molti,
Di gran conati
Hanno virtù.


Prendane esempio
Chi sa di più. —

Dopo cotesto, mentre i colombi se n’andavano per aria toltasi la rete dell’uccellatore, l’uccellatore, restato in terra, correva loro dietro, e, levati in alto gli occhi, andava recitando questi versi1:

Vanno gli augelli e portan via la rete.
Quando, fra lor discordi, ei piatiranno,
Dubbio non è che a terra ricadranno. —


Anche Lagupatanaca, abbandonata la cura del procacciarsi il cibo, per il desiderio dei sapere ciò che sarebbe avvenuto dei colombi, li seguì andando loro dietro, e l’uccellatore, quando vide ch’essi erano scomparsi dalla vista, perduta la speranza e recitando questi versi, tornò indietro:


Ciò ch’esser non dovea, mai non avvenne;
Senz’affanno s’ottenne

Ciò ch’essere dovea. Perchè destino


E con sè gli altri si piglia
Così appunto come fa
Il Tesor della Conchiglia2.


Ma lasciam stare il desiderio di mangiar carne di colombi. Intanto io ho perduto anche la mia rete ocn la quale io faceva vivere la mia famiglia! — Citragiva intanto, quando conobbe che l’uccellatore era scomparso dalla sua vista, così disse ai colombi: Ohè! è tornato indietro quello scellerato di uccellatore! Andiamo adunque tutti di buon animo ad un luogo che è a settentrione della città di Mihilaropia. Là, un topo che è amico, detto Hiraniaca, romperà tutti questi lacci della rete. Perchè è stato detto:


Nella sventura
Che a tutti appigliasi,
Nessuno ha cura
D’aita porgere,


Fosse pur anche
Con un sol detto,
Fuor dell’amico
C’ha il nostro affetto. —


Ammoniti in questa maniera da Citragiva, i colombi se ne vennero alla tana inaccessibile d’Hiraniaca. Hiraniaca, abitando una tana sicura che aveva mille uscite, viveva felicemente non temendo di nulla. Intanto,


Riflettendo al periglio possibile,
Conoscendo le norme del vivere,
Una tna che ha cento sortite,
Qui fe’ il topo e qui stassi impassibile.


Da tutti si può vincere quel re
Che privo di fortezze si restò,
Sì come il serpe che i denti perdè,
O l’elefante a cui l’umor stagnò3.

  1. Qui manca un distico che l’edizione di Calcutta non ha e che poco ha da fare col contesto.
  2. Uno dei tesori di Cuvera, dio delle ricchezze, la cui qualità è quella di non soffrire che altri, fuori del suo signore, ne abbia utile alcuno.
  3. L’umore che cola dalle gote degli elefanti quando sono in amore. Vedi il libro 1°.