Pagina:Le Novelle Indiane Di Visnusarma, UTET, 1896.djvu/124

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116 novelle indiane di visnusarma

con cibi, vesti e altro, e datasi a lui secondo il matrimonio gandarvico1, mentre con lui stava sul letto, così gli disse con quella bocca che pareva un fior di loto dischiuso: Ma perchè oggi non mi parli tu con confidenza? — Ed egli disse: Ciò che toccar dovea, incoglie all’uom quaggiù. — Ciò udendo, quella pensò: Poichè s’è fatta un’opera inconsiderata, ecco che ora se ne matura il frutto. — Così avendo riflettuto, dopo che, molto conturbata, l’ebbe rimproverato assai, lo cacciò fuori. Intanto ch’egli andava per diversi chiassi, ecco che sopraggiunse uno sposo di nome Varachirti, abitante di altro paese, accompagnato da gran frastuono di musica, e Ciò-che-toccar-dovea prese ad andargli dietro. Quando poi, venuto il momento segnato dagli astrologi, la figlia d’un mercante, ornata di amuleti e col cinto nuziale, sulla porta di casa presso la via principale della città, già si teneva accanto all’altare coperto di fiori e di fronde, ecco che irruppe in quel luogo, dopo che aveva ucciso il custode, un elefante furioso che tutto mandò a soqquadro, nello scompiglio della gente che fuggiva. Anche quelli che accompagnavano lo sposo, come l’ebbero veduto, fuggiva. Anche quelli che accompagnavano lo sposo, come l’ebbero veduto, fuggirono da tutte le parti insieme allo sposo impaurito. Allora, Ciò-che-toccar-dovea, vedendo abbandonata la fanciulla che aveva gli occhi spalancati per il terrore, dicendole: Non temere! io ti difendo, — con molto coraggio la rassicurò, afferrandola con molta fermezza per la mano destra, e con aspra voce rimproverando l’elefante. Andato via per buona sorte l’elefante, Varachirti, benchè fosse passato il momento segnato dagli astrologi, ritornò coi parenti e cogli amici, mentre là si stava la sua sposa presa per la mano da un altro. Vedendo cotesto, Varachirti disse: Suocero mio, tu mi fai oltraggio dandomi una ragazza ch’è già stata data ad un altro. — Anch’io, rispose, venni con voi nel fuggire per timore dell’elefante nè intendo nulla di tutto ciò. — Così avendo risposto, egli incominciò a interrogar la fanciulla: O cara, tu non hai fatto bene! Dimmi intanto che sia tutta questa faccenda. — E la fanciulla disse: Poichè io, in gran pericolo di vita, sono stata salvata da costui, così, finchè io vivo, nessun altro fuor di lui avrà la mia mano di sposa. — Intanto, fra questi avvenimenti, la notte passò. Alla mattina, radunatasi molta folla, la figlia del re, avendo udito di quel caso strano, si recò sul luogo. Anche la figlia della guardia di città vi accorse, avendo risaputo tutto ciò per il racconto andato di bocca in bocca2, e il re, avendo inteso che là gran folla si era radunata, v’andò pure in persona. Allora, egli parlò così a Ciò-che-toccar-dovea: Raccontami tu senza alcun timore ciò che è avvenuto. — Perchè egli disse: Ciò che toccar dovea, incoglie all’uom quaggiù. — La figlia del re allora, ricordandosene, soggiunge: Agli Dei d’impedirlo possibile non fu. — E la figlia della guardia di città: Io però non mi dolgo, non ho stupor di ciò. — E la figlia del mercante, avendo udito tutta questa faccenda, disse:

  1. Vedi la novella del tessitore (Novella V del libro I).
  2. Il testo ha d’orecchio in orecchio.