Pagina:Le Novelle Indiane Di Visnusarma, UTET, 1896.djvu/15

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libro primo 7

     Re dalle bestie non si vuol sacrare.
Nè ordinarsi il leon. Sugli animali


La signoria da sè gli venne allora
Ch’ei con la forza l’ebbe ad acquistare.


Intanto, erano sempre suoi seguaci due sciacalli, figli di due ministri già dimessi di ufficio, di nome Carataca e Damanaca. Questi due fra loro solevano consigliarsi, perchè allora Damanaca disse: Caro Garataca, cotesto nostro re Pingalaca, disceso per ber dell’acqua alla sponda della Yamuna, si sta qui ora. Perchè mai egli, benchè tormentato dalla sete, mutando divisamente, dopo aver disposto in ordine di battaglia l’esercito, s’è perduto d’animo e si sta là a’ piedi del fico? — Garataca disse: Caro mio, qual frutto per noi due dall’occuparci di questo affare che non è nostro? Perchè è stato detto:


     L’uom che curar desia
Affar che suo non è,


Dritto a morir s’avvia
Come la scimia ch’estraeva il conio.


Damanaca disse: Come ciò? — E quegli disse:

Racconto. — In un certo luogo vicino alla città, in mezzo ad un boschetto d’alberi, dal figlio di un mercante erasi incominciato a fabbricare un tempio agli Dei. Gli operai, il maestro e gli altri tutti, solevano andare in città, all’ora del mezzogiorno, per desinare. Un giorno, una schiera di scimie che là presso abitava, dopo ch’ebbe errato qua e là, capitò in quel luogo. Ora, là giaceva il tronco d’un albero di angiana1 stato spaccato per metà da uno degli operai, introdottovi nel mezzo un conio di legno di cadira2. Le scimie, intanto, cominciarono a trastullarsi secondo il loro piacere sulle cime degli alberi, sui pinnacoli del tempio, e sulle estremità dei tronchi, quando una di loro, vicina omai a morte, sedutasi per leggerezza su quel tronco spaccato per metà, tirando la corda che legava il legno, gridava: Oh! perchè mai questo conio è stato ficcato qui fuor di posto? — E afferrandolo colle mani cominciò a voler spaccare. Ma, per cagion d’un testicolo che le era entrato nella spaccatura del tronco, levato il conio, avvenne appunto ciò che dianzi t’ho detto. Perciò io dico:


     L’uom che curar desia
Affar che suo non è,


Dritto a morir s’avvia
Come la scimia ch’estraeva il conio.


Con questo, c’è qui per noi due cibo bastante per tutto un giorno3. Che importa adunque cotesta faccenda? — Damanaca disse: E che? sei tu bisognoso soltanto del mangiare? Ciò non va bene. Però è stato detto:

    (Ed. Cale, kâkaravâh) e kimvrittâç-ca due nomi propri. Sembra, come si vede in altri luoghi di queste favole, che qui si riferiscano due detti caratteristici di certa gente. Certa gente vile e dappoco ha timore se un corvo gracchia, e, spaventata per nulla, domanda a ciascuno che incontra, che è stato? Donde i due soprannomi (che importano viltà) dati dal leone al suo seguito: Gracchia il corvo! e Che è avvenuto? — Se pure ho inteso bene.

  1. Sorta d’albero indiano.
  2. Nome d’un albero indiano.
  3. S’intende per un giorno e una notte.