Pagina:Le Novelle Indiane Di Visnusarma, UTET, 1896.djvu/194

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186 novelle indiane di visnusarma

quando lo seppe, lamentandosi ad alta voce: Ahimè! ahimè! — in nessun modo poteva cessar di piangere. Allora la moglie sua gli disse:


A che piangi, o piagnoloso,
Che la morte dèsti a’ tuoi?


Poi che i tuoi son tutti morti,
Protettor chi ha di noi?


Si pensi piuttosto oggi qualche modo per uscir di qui, ovvero qualche spediente per ammazzare il serpe. — Intanto, con l’andar del tempo, tutta quanta la famiglia delle rane fu trangugiata e rimase il solo Gangadatta. Priyadarsana allora disse: Amico Gangadatta, io ho fame, e non resta più alcuna rana. Tu solo resti. Dàmmi tu adunque alcuna cosa da mangiare, poiché tu mi hai menato qui. — L’altro disse: Amico mio, tu non puoi pensare a nulla finché io resto qui. Ma se tu mi lascierai andare, io, come le avrò persuase, ti menerò qui le rane che ora si stanno in altra cisterna. — Il serpente disse: Mentre tu non puoi essere divorato da me perché mi sei in luogo di fratello, se oggi così farai, mi sarai in luogo di padre. Cosi adunque si faccia! — Gangadatta allora, come ebbe inteso, messosi per la via della secchia da attinger acqua, dopo ch’ebbe supplicato e fatto onore a molti Dei, balzò fuori della cisterna, intanto che Priyadarsana, col desiderio ch’egli si ritornasse, là si stava ad aspettare. Ma perché Gangadatta, passato un lungo tempo, non ritornava, Priyadarsana così si fece a dire a una testuggine che abitava in un’altra cavità della cisterna: Amica, dàmmi un po’ d’aiuto! Poiché Gangadalta è un’antica tua conoscenza, così andando da lui, come l’avrai trovato in qualche stagno d’acque, gli dirai queste mie parole: «Almeno vieni presto tu solo se le.altre rane non vogliono venire. Io non posso starmi qui senza di te. Che se mai io preparassi contro di te qualche macchina, ti sarà in pegno la vita mia». — La testuggine, a quelle parole, come tosto ebbe cercato di Gangadatta, gli disse: Amico Gangadatta, l’amico Priyadarsana sta ad aspettare il tuo ritorno. Vieni adunque sollecitamente. Del resto, quand’egli ti volesse far qualche sconcezza, la vita sua ti si dà in pegno. Vieni adunque con animo tranquillo. — Ma Gangadatta, come ebbe udito, rispose:


Qual rea cosa non fa l’uom ch’è affamato?
Pietà non sente l’uom ch’è rovinato.

A Priadarsana, amica, tu dirai:
«Gangadatta ila te non verrà mai».


E così la licenziò. Perciò io, o malvagia bestia acquatica, come Gangadatta non tornerò mai più alla tua casa. — Il delfino, quand’ebbe inteso, rispose: Amico mio, non è bello per te il far così. Toglimi piuttosto, col venire a casa mia, ogni accusa d’ingratitudine, altrimenti io per te mi lascierò morir di fame. — Il scimio disse: O sciocco, sono io forse lo stolido Lambacarna, che, pure avendo veduto il pericolo, ritorni là e mi lasci dar la morte? Perchè


Prima venne e poi fuggì
Poscia che l’alto valor
Del leone egli scoprì.


Non ha orecchi, non ha cor,
Lo stordito che fuggì
E potè tornare ancor. —