Pagina:Le Novelle Indiane Di Visnusarma, UTET, 1896.djvu/202

Da Wikisource.
194 novelle indiane di visnusarma

disse: Se io, messoti in bocca il freno e montandoti sulla schiena, ti potrò far correre e tu sospinto in corsa nitrirai come un cavallo, allora io sarò placata. — E così fu fatto. La mattina dell’altro giorno, entrando 11 re nell’assemblea, sopraggiunse anche Vararuci. Al vederlo, il re gli domandò: O Vararuci, come mai, pur non essendo la debita fase della luna, ti sei rasa la testa? — Rispose:


Che non fa, che non dà l’uom, se pregato
Una donna l’avrà? Dove nitrisce

Chi giumento o caval non è mai stato,


Puossi radere il capo anche se quella
Non è la fase di luna novella. —


Anche tu, o scellerato di delfino, ti sei sottomesso alla volontà delle femmine come già Nanda e Vararuci, quando, venendo qui, o mio caro, hai messo mano a certo tuo spediente per uccidermi; se non che, per colpa della tua loquacità, quel tuo spediente si è scoperto. Intanto, si suol dire giustamente:


Hanno la morte gazze e pappagalli
Per colpa della lor loquacità,

Non già i nibbi o gli aironi. Ed è il silenzio
Quel che ogni cosa accomodar più sa.


E poi:


Benchè guardassesi
Con molta cura,
Preso un aspetto
Da far paura,
Vestito d’una


Pelle di tigre,
L’asino un giorno
Hanno ammazzato
Perchè ha ragliato. —


Il delfino disse: Come ciò? — Il scimio incominciò a raccontare:

Racconto. — Una volta, abitava in un certo paese un lavandaio di nome Suddapata. Egli aveva un solo asino, il quale, per mancanza di nutrimento, era venuto in assai tristo stato. 11 lavandaio, andando un giorno qua e là per un bosco, vide una tigre morta. Allora pensò: Oh! bella cosa che m’è capitata! Come l’avrò vestito con la pelle di questa tigre, io di notte lascierò andare il mio asino per i campi di grano, acciocché le guardie campestri del vicinato, credendolo un tigre, non lo discaccino. — Fatto cotesto, l’asino mangiava del grano fin che ne voleva; poscia, alla mattina, il lavandaio lo rimenava a casa. Così, con l’andar del tempo’, l’asino, diventato grasso, a fatica si lasciava condurre alla stalla. Ma un giorno, essendo preso dalla follia dell’amore, udì da lontano un ragliar di asine. All’udirle soltanto, incominciò a ragliare. Le guardie campestri allora, pensando: Costui è un asino vestito della pelle d’una tigre, — l’ammazzarono a colpi di bastoni, di proietti e di pietre. Perciò io dico:


Benchè guardassesi
Con molta cura,
Preso un aspetto
Da far paura,
Vestito d’una


Pelle di tigre,
L’asino un giorno
Hanno ammazzato
Perchè ha ragliato. —