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Pagina:Le Novelle Indiane Di Visnusarma, UTET, 1896.djvu/223

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libro quinto 215

le testuggini, le rane, i granchi e tutti gli altri abitatori dello stagno, restarono impigliati e presi in quelle. Il Centoscienze e il Millescienze con le loro mogli, sebbene fuggendo a lungo si salvassero col correre qua e là per la conoscenza che avevano di tutti i modi del camminare, pure alla fine caddero nelle reti e furono uccisi. I pescatori poi, verso sera, tutti contenti s’incamminarono per tornare a casa, e uno tenevasi in capo, perchè molto pesava, il Centoscienze, e l’altro portava sospeso, legato ad un capestro, il Millescienze. Intanto, il ranocchio Uniscienza che era venuto alla sponda del suo stagno, disse a sua moglie: Guarda, guarda, o cara!


Centoscïenze
Sul capo sta;
Millescïenze
Sospeso va;


Uniscienza
Io sono, o cara,
E vo a diporto
Per l’acqua chiara.


Perciò io dico: Non in tutto e per tutto può valere la saggezza. — L’uom dell’oro disse: Anche se così è, la parola di un amico non si deve tuttavia trascurare. Intanto, che si fa ora? Quantunque ammonito da me, tu non ti sei fermato, e ciò per soverchia avidità e per ismania di sapere. Intanto, si suol dire molto a proposito:


Bene, o zio! Da me ammonito
Di cantar non hai finito!
Un monil non visto mai1


Or però legato avrai.
Ciò ti sia qual segno intanto
Guadagnato col tuo canto. —


L’uomo della ruota disse: Come ciò? — E l’altro disse:

Racconto. — Era già in un certo paese un asino di nome Uddata, il quale, facendo di giorno il servizio del portar pesi nella casa d’un lavandaio, di notte andava attorno a suo piacimento e poi, alla mattina, per timore d’esser preso, ritornava a casa. Allora il lavandaio lo legava. Un giorno poi, mentre egli andava di notte per i campi, fece amicizia con uno sciacallo. Tutti e due allora, fatta una rottura, per la grossezza del corpo, nella siepe, entrando negli orti delle zucche e mangiandone a loro volontà, alla mattina ritornavano alla loro abitazione. Un giorno, stando in mezzo all’orto, l’asino che era caldo d’amore, così disse allo sciacallo: Nipote mio, vedi! La notte è molto chiara, però io voglio cantare. Dimmi tu in qual tono devo farlo. — Lo sciacallo disse: Zio, a che metterci in questa faccenda inutile? Noi attendiamo ora ad un’opera da ladri, e i ladri e gli amanti nascosti devono star zitti. Perchè è stato detto:


Chi vuol viver quaggiù, s’egli ha la tosse,
Lasci il mestier del ladro;

Lasci il mestier del malandrin, se inclina


Soverchio al sonno, e lasci
La voglia di ciarlar, s’egli è ammalato.


Con questo, il tuo canto che somiglia al suono d’una conchiglia, non è punto piacevole, e i custodi dei campi che l’udranno di lontano, levandosi

  1. Figuratamente per un mortaio sospeso al collo, come si vedrà dal racconto che segue.