Pagina:Le Novelle Indiane Di Visnusarma, UTET, 1896.djvu/232

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224 novelle indiane di visnusarma


Racconto. — C’era una volta in una città un re di nome Badrasena che aveva una figlia di nome Ratnavati, adorna d’ogni segno di beltà e fortuna. Un Racsaso voleva rapirla. Venendo di notte, sempre egli si pigliava piacere di lei, ma, perché era ben guardata, non poteva rapirla, ed essa, nel tempo che il Racsaso pigliava piacere di lei, soffriva di tremito e di febbre cagionati in lei dal trovarsi insieme con lui. Così essendo passato alcun tempo, una sera il Racsaso, stando in un angolo della casa, si fece vedere a quella figlia del re. Essa allora disse ad una sua amica: Amica, vedi? quel Racsaso che sempre viene a me in tempo di vespro, mi dà una gran noia! Vi è mai qualche maniera di allontanar quello scellerato? — Udendo cotesto, il Racsaso pensò fra sé: Certamente qualcuno di nome Vespro suol venir qui, come me, per portarla via, ma non può farlo, lo però, stando in mezzo ai cavalli1, osserverò di che forma è e di che natura. — Uopo ciò, ecco che in tempo di notte un ladro di cavalli entrò nella casa del re. Quand’ebbe esaminato tutti i cavalli, vedendo che quel Racsaso in forma di cavallo era il più bello di tutti, postogli un freno in bocca, gli saltò in groppa. Il Racsaso allora pensò: Ecco che costui che si chiama Vespro, pensando ch’io sia suo nemico, è venuto qui per uccidermi. Intanto, che farò io? — Essendo in questi pensieri, riceveva colpi di sferza dal ladro dei cavalli, e però, tutto spaventato, cominciò a correr via, e il ladro, dilungatosi di molto, stringendo il freno tentava di fermarlo, e diceva: Se costui è un cavallo, sentirà il freno. — Ma l’altro sempre andava con impeto maggiore. Vedendo allora ch’egli non sentiva il freno, il ladro pensò: Oh! i cavalli non sono di questa maniera! È possibile che sotto questa forma di cavallo si nasconda un Racsaso, e però, se io potrò vedere un terreno soffice e molle, mi lascierò cadere a terra. Non c’è altra maniera di scampo. — Mentre egli pensava così raccomandandosi al suo dio, ecco che il Racsaso che aveva forma di cavallo, capitò sotto un albero di fico. Il ladro, afferrato un ramo dell’albero, là sopra si cacciò. Così ambedue, ripresa la speranza della vita, ebbero grandissima gioia. Ora, su quell’albero abitava una scimia amica del Racsaso, la quale, vedendolo fuggire gli gridò: Oh! dunque e perché fuggi tu per un vano timore? Costui è un uomo e tu puoi mangiartelo. Mangiane adunque! — Il Racsaso, come ebbe udito queste parole della scimia, ripigliò la sua forma e tutto sgomento e con passo vacillante si allontanò. Ma il ladro, che aveva inteso la raccomandazione della scimia, addentò con ira la coda di lei in giù pendente e fortemente cominciò a morderla; e la scimia che s’avvisò che colui fosse un essere assai superiore al Racsaso, per paura non disse nulla, ma soltanto si stette questa serrando gli occhi e stringendo i denti, appunto come ora fai tu. Il Racsaso, vedendola in quell’atto, recitò questi versi:

  1. In forma di cavallo, come s’intende da ciò che segue. I Racsasi avevano facoltà di trasformarsi come volevano.