Pagina:Le Novelle Indiane Di Visnusarma, UTET, 1896.djvu/25

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libro primo 17

Adunque, ripensando a tutto ciò, nostro signore deve fare atto di coraggio. Non devesi temere d’un solo rumore, poichè è stato detto:


Fu già da me pensato
Che ciò fosse di carne rimpinzato.

Intanto io vado, ed ecco che il rinvegno
Cuoio soltanto e legno. —


Pingalaca disse: Come ciò? — E l’altro rispose:

Racconto. — In un certo paese, uno sciacallo di nome Gomayu, andando qua e là per la selva con la strozza tormentata dalla fame, giunse a vedere, il campo di battaglia di due eserciti, e là intese il suono d’un tamburo che, caduto a terra, di tanto in tanto era colpito dalle punte dei rami d’un albero, mossi dalla forza del vento; perchè egli, turbato in cuore, pensò: Oimè! son perduto! Ma perchè io non capiti nel luogo dov’é cotesta cosa che così risuona, me n’andrò altrove. Eppure, non è hello abbandonar d’uu subito la selva già percorsa dai padri miei, perché è stato detto:


Toccar gioia o timore
Chi pensa che potrà.
E con soverchio ardore


Nessuna cosa fa,
Mai non avrà di doglia alcun sentore.


Intanto, io vo’ sapere di chi sia questo suono. — Così egli pensava riprendendo animo. Andando adunque adagio adagio, ecco ch’egli vide il tamburo, che, quand’era colpito dalle cime dei rami mossi dal vento, faceva rumore, altrimenti taceva. Perchè allora lo sciacallo, osservato bene tutto ciò, accostandosi sempre più venne, per la curiosità, a urtar nel tamburo; anzi, per la gioia, così pensò: Oh! dopo tanto tempo finalmente ci tocca un buon pasto! Ora, cotesto sarà tutto pieno di carne, di grasso e di sangue. — Lacerando pertanto il tamburo tutto rivestito d’un cuoio aspro e tacendovi a un certo punto un pertugio, v’entrò dentro. Ma, nel lacerare il cuoio, ebbe rotti i denti. Allora, vedendo che quello era soltanto legno e cuoio, perduta la speranza, recitò questi versi:


Fu già da me pensato
Che ciò fosse di carne rimpinzato,

Intanto io vado, ed ecco che il rinvegno
Cuoio soltanto e legno.


Perciò non devesi temere d’un solo rumore. — Pingalaca disse: Oh vedi! tutto questo mio seguito, preso nell’animo da paura, vuol fuggire. Come dunque posso formar io animo sicuro? — E l’altro disse: O signore, la colpa non è di quelli. I servi sono simili al padrone. Perchè è stato detto:


L’arma, il cavallo, il costume, la voce,
I famigli, il liuto, la mogliera.

Indole del padron partecipando,
Abili o inetti sono in lor maniera.


Perciò, facendo animo virile, tu devi qui aspettar tanto che io ritorni quando abbia scoperto che sia mai cotesto rumore. Allora s’avrà da fare secondo che converrà. — Pingalaca disse: E come hai tu il coraggio d’andar fin là? — E quello disse: Forse che, ad un comando del padrone, è in facoltà del buon servo l’eseguirlo o il non eseguirlo? È pur stato detto:


Di niuna guisa, al cenno del signore,
S’ingenera in buon servo alcun timore.

Nella strozza d’un serpe, o in un gran mare,
Ei si caccia, difficile a varcare.

Pizzi, Novelle Indiane di Visnusarma. — 2.