Pagina:Le aquile della steppa.djvu/12

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6 Capitolo primo.

Il vecchio che giungeva ultimo, con un gesto imperioso, arrestò il gigante, il quale aveva già cominciato a stringere il collo del prigioniero colle sue formidabili mani.

— No, Tabriz, — disse. — Deve parlare prima e dirci dove hanno portata Talmà. Egli è un complice, fors’anche uno dei capi di quelle maledette Aquile della steppa.

— Non è vero, beg! — gridò il mestvire, con voce strangolata. — Io non sono che un povero suonatore di guzla e non ho aiutato quei miserabili a rapire la sposa di Hossein! Lo giuro! Lo giuro!

— Taci, cornacchia! — rispose il gigante, scuotendolo ruvidamente. — Taci, o ti rompo le costole con una buona stretta, di quelle che so dare io solo.

— Siete miserabili! assassini! Volete la mia morte per divertirvi!

— Portalo al villaggio, Tabriz, — disse il vecchio beg, saettando con uno sguardo feroce il prigioniero.

Poi, volgendosi verso gli altri, chiese:

— Avete del gesso nelle vostre capanne? —

Udendo quelle parole il mestvire diventò spaventosamente pallido, poi un urlo d’angoscia gli sfuggì:

— Ah! No! No! Grazia!

— Gettalo sul cavallo, Tabriz, — disse il vecchio, senza nemmeno rispondere al prigioniero, nè impietosirsi del terrore immenso che traspariva dai suoi occhi dilatati e dai suoi lineamenti sconvolti. E voi andate a raccogliere tutto il gesso e portatelo sulla piazza del villaggio.

— Un momento, padrone, — disse il gigante. — Bisogna assicurarlo bene; questi rettili mordono. —

Gettò a terra il disgraziato suonatore, gli posò un ginocchio sul dorso per tenerlo fermo, poi levatasi la fascia di grosso feltro che gli stringeva la lunga zimarra, gli legò strettamente le mani dietro la schiena.

Lo sollevò e lo mise sul suo cavallo, prendendo in mano le briglie.

— Siamo pronti, padrone, — disse poi al beg.

La truppa si mise in marcia ritornando verso il villaggio, ove si erano radunati i vecchi, le donne ed i fanciulli.

Il mestvire non aperse più bocca, nè fece alcuno sforzo per