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I fanatici del Turchestan. 133

che lo stringeva d’ogni parte, si sentì tirare per una manica, assai vigorosamente.

Tabriz e Hossein, divisi dalla scorta, erano già molto innanzi in quel momento.

— Signore, — sussurrò una voce nell’orecchio del giovane.

Abei si era voltato. Un uomo molto barbuto, che aveva il viso in parte nascosto da un ampio turbante, gli stava dietro, tenendolo sempre per la manica.

— Che cosa vuoi? — gli chiese.

— Lasciate passare questi imbecilli, — disse quell’uomo. — Appoggiatevi contro il muro e tenete ben saldo il vostro cavallo. —

Poi aggiunse, spingendolo ruvidamente contro la porta d’una casa:

— Hadgi...

— Aspetta, — rispose Abei, mentre un lampo di gioia gli brillava negli occhi.

La turba passò, seguendo i fanatici che non cessavano di sfregiarsi i corpi; poi, quando gli ultimi uomini scomparvero verso la parte bassa della città, dove giganteggiava un’altra moschea e si trovarono soli, l’uomo barbuto aiutò Abei a salire in sella, dicendogli:

— Non abbiamo tempo da perdere. I russi s’avvicinano.

— Sei uno degli uomini che Hadgi ha lasciato qui perchè mi guidino?

— Sì, signore.

— Sei solo?

— Ho quattro compagni che mi aspettano presso la porta di Ravatak e tutti ben montati.

— Dov’è la fanciulla?

— Al sicuro, fra le montagne di Kasret Sultan Geb.

Affrettiamoci o resteremo anche noi assediati.

— Andiamo, — disse Abei. — Domani i russi assaliranno Kitab, succederà certo un massacro, Tabriz e Hossein difficilmente sfuggiranno alla morte... e Talmà sarà mia. Aveva messo il cavallo al trotto ed il bandito lo seguiva a piedi, correndo come un’antilope.

In quindici minuti Abei ed il bandito raggiunsero i gradini che si estendevano dietro l’alta muraglia, poi piegarono a dritta per arrivare alla porta che supponevano fosse ancora aperta.