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L’assalto di Kitab. 137

— E voi, stupidi, non potevate mostrarvi prima? — gridò finalmente Abei, minacciandoli col pugno.

— Vi abbiamo cercato dappertutto, signore, — disse colui che lo aveva guidato. — Saremmo stati anche noi più contenti di andarcene, prima che i russi ci chiudessero il passo.

— Siete dei cretini! —

Stette un momento come pensieroso, poi, alzando le spalle e dando una strappata alle briglie, mormorò:

— Bah! Forse sarà meglio. Cerchiamo di spingere gli altri e di non esporre la mia pelle.

Vedremo se torneranno vivi nella steppa! —

Volse il cavallo e si diresse a piccolo trotto verso la piazza del bazar, mentre i cannoni della cittadella rombavano furiosamente, rispondendo alle artiglierie russe che battevano in breccia la porta di Ravatak e la torre sovrastante.

Quando giunse al caravanserraglio, trovò Hossein e Tabriz in sella, pronti a prendere parte alla difesa della città coi loro cinquanta uomini.

Un messo di Baba-beg li aveva già avvertiti che l’assalto stava per cominciare e che la loro presenza sulle mura era necessaria.

— Ti credevamo già morto, — disse Hossein, vedendolo. — Le palle russe cominciano a piovere nelle vie.

— Mi ero solamente smarrito, cugino, — rispose Abei, — e devo ringraziare gli uomini che m’accompagnano se mi hanno messo nella buona via, Kitab non la conosco.

— Giungi in buon punto. I russi si preparano ad espugnare la città.

— È alla porta di Ravatak che tenteranno l’attacco, — disse Tabriz.

— Vieni, cugino, — disse Hossein, che pareva avesse dimenticato per un istante Talmà. — Mostriamo ai moscoviti, come sanno battersi i nomadi della steppa turchestana. —

Ad un suo cenno i cinquanta uomini, rinforzati dai banditi di di Hadgi, avevano lanciato i cavalli al galoppo, avviandosi verso la porta di Ravatak.

I russi avevano cominciato l’attacco con molto vigore, sicuri di trionfare facilmente di quelle muraglie che non potevano offrire una lunga resistenza, malgrado il loro aspetto imponente, essendo costruite solamente con mattoni seccati al sole.