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198 | Capitolo quinto. |
e di scatto malsicuro, non avevano osato soffermarsi, specialmente in mezzo a quella folta macchia, dove potevano correre il pericolo di venire assaliti di sorpresa e da due parti.
Giunti sotto un grosso melogranato selvatico, Tabriz e Hossein si erano fermati guardando attentamente sotto le piante e tendendo gli orecchi.
— Che ti sia ingannato Tabriz? — disse Hossein, dopo qualche minuto di attesa, non vedendo comparire alcun animale sotto gli alberi.
— No, signore, ho udito i cespugli a muoversi e giurerei anche di aver veduto, fra le foglie, a brillare due occhi ardenti.
— Sono dunque così pericolosi quegli animali, per far battere in ritirata un uomo come te?
— Valgono le pantere e...
— Taci!...
— Un ramo che si è spezzato, è vero?
— No, un fruscìo come se qualcuno cercasse d’aprirsi il passo fra gli astragalli.
— Saliamo su quest’albero, signore. Saremo più sicuri che a terra. —
Il gigante prese Hossein e lo alzò lungo il tronco del melogranato fino al ramo più basso, a cui il giovane si aggrappò mettendosi lestamente a cavalcioni.
Il gigante che poteva abbracciare la pianta, si mise ad arrampicarsi, facendo sforzi prodigiosi per far presto.
Stava per toccare il ramo, quando udi Hossein a gridare:
— Eccoli!... Presto, Tabriz! —
Due animali, che avevano la taglia delle pantere, si erano slanciati fuori degli astragalli con un balzo immenso, poi si erano precipitati verso l’albero, mandando un ruggito sommesso, d’un timbro ben diverso da quello del leone.
In un lampo furono sotto al melogranato ed il più grosso, il maschio senza dubbio, con un slancio straordinario afferrò Tabriz per una gamba, tentando di tirarlo giù.
Fortunatamente il gigante aveva gli stivali dalla pelle resistentissima e possedeva un sangue freddo ammirabile.
Allungò lestamente una mano verso il ramo ed in due tempi vi si issò sopra, mentre la belva, delusa, si lasciava ricadere a terra.