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48 Capitolo sesto.

— A te, padrone, — disse il gigante. — Affrettati perchè vengono.

Per un momento posso tener testa a quei ladroni. —

Dietro il muricciuolo, che avevano poco prima varcato, si udivano i banditi della steppa a schiamazzare. Anche essi si preparavano a dare la scalata al recinto.

Hossein strinse la fune, senza perdere tempo e si issò lestamente fino sulla terrazza, dove un servo di Talmà lo aspettava, tenendo in mano il moschetto già armato.

— Tu, signore! — esclamò quell’uomo. — Non ti aspettavo così presto.

— Taci e preparati a far fuoco, — rispose Hossein, togliendosi dalla spalla il fucile.

— Vi è Tabriz che deve ancora salire. —

Due spari rintronarono in quel momento dietro la muraglia del recinto. Due banditi subito apparvero sull’orlo, per aiutare i compagni a salire.

— Sali, Tabriz! — Gridò Hossein.

Poi volgendosi verso il servo di Talmà, aggiunse:

— Tira!... A me quello di destra, e a te quello di sinistra. —

Due detonazioni seguirono una dietro all’altra ed i banditi, che erano già a cavalcioni della cinta, stramazzarono dall’altra parte.

In quel momento Tabriz metteva i piedi sul terrazzo.

— Va’ a vedere la tua Talmà, padrone, — disse poi.

Il giovane attraversò la terrazza, tenendosi curvo onde non esporsi ai tiri dei banditi e scese una gradinata coperta, che metteva capo ad una specie di veranda, dove alcuni uomini, nascosti dietro il parapetto, facevano fuoco.

— Talmà! — gridò Hossein, vedendo fra loro biancheggiare una forma femminile.

Un gran grido rispose:

— Il mio prode fidanzato!... Siamo salvi!... Fuoco, amici, fuoco! —

Poi la giovane si slanciò fuori dal gruppo, cadendo fra le braccia di Hossein.

Talmà giustificava pienamente la rinomanza d’essere la più bella fanciulla della grande steppa turchestana.

Quantunque non dovesse avere più di quindici anni, era quasi