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ferrarsi per il collo, e le solite due vociacce che gli brontolarono minacciosamente:
— Ora non ci scappi più! —
Il burattino, vedendosi balenare la morte dinanzi agli occhi, fu preso da un tremito così forte, che nel tremare, gli sonavano le giunture delle sue gambe di legno e i quattro zecchini che teneva nascosti sotto la lingua.
— Dunque? — gli domandarono gli assassini — vuoi aprirla la bocca, sì o no? Ah! non rispondi?… Lascia fare: che questa volta te la faremo aprir noi!… —
E cavati fuori due coltellacci lunghi lunghi e affilati come rasoi, zaff e zaff… gli affibbiarono due colpi nel mezzo alle reni.
Ma il burattino per sua fortuna era fatto d’un legno durissimo, motivo per cui le lame, spezzandosi, andarono in mille schegge e gli assassini rimasero col manico dei coltelli in mano, a guardarsi in faccia.
— Ho capito; — disse allora uno di loro — bisogna impiccarlo. Impicchiamolo!
— Impicchiamolo — ripetè l’altro.
Detto fatto gli legarono le mani dietro le spalle, e passatogli un nodo scorsoio intorno alla gola, lo attaccarono penzoloni al ramo di una grossa pianta detta la Quercia grande.