che a lui aveano prestato. Il re giovane rispose: signori, a mala stagione venite, che ’l vostro tesoro è dispeso. Li arnesi sono donati. Il corpo è infermo; non avreste omai di me più buono pegno. Ma fe’ venire uno notaio, e quando il notaio fu venuto, disse quello re cortese: scrivi ch’io obbrigo mia anima a perpetua prigione, in fino a tanto che voi pagati siate. Morio questi. Dopo la morte, andaro al padre suo, e dumandaro la moneta. Il padre rispose loro aspramente, dicendo: voi siete quelli che prestavate al mio figliuolo, ond’elli mi facea guerra, et imperò sotto pena del cuore e dell’avere, vi partite di tutta mia forza. Allora l’uno parlò, e disse: messer, noi non saremo perdenti, che noi avemo l’anima sua in prigione. E lo re domandò, in che maniera: e quelli mostraro la carta. Allora il re s’umiliò, e disse: non piaccia a dio che l’anima di così valente uomo stea in prigione per moneta; e comandò che fossero pagati, e così furo. Poi venne Beltramo dal Bornio in sua forza, e quelli lo domandò, e disse: tu dicesti ch’avei più senno che uomo del mondo; or ov’è tuo senno? Beltramo rispose: messere, io l’ho perduto. E quando l’hai perduto? Messere, quando vostro figliuolo morio. Allora conobbe lo re che ’l senno ch’elli avea, si era per bontà del figliuolo: sì li perdonò, e donolli molto nobilemente.