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le confessioni 11

ambizione, per avidità, per orgoglio. I miei scritti erano conformi alla mia vita. Per ottenere la gloria e il denaro, in vista dei quali scrivevo, era necessario nascondere il buono e pubblicare il cattivo, e questo io feci. Quante volte, affettando indifferenza e anche una leggera ironia, mi sforzai di scartare dai miei scritti quelle aspirazioni verso il bene che davano un senso alla mia vita! E raggiunsi il mio scopo, e tutti mi incoraggiavano.

Avevo ventisei anni, quando, di ritorno dalla guerra, andai a Pietroburgo e mi misi in relazione con degli scrittori, che m’accolsero come uno dei loro. Essi mi lodarono e, prima che avessi avuto il tempo di riavermi, le opinioni sulla vita, proprie a questi uomini, erano divenute mie e avevano completamente dissipato in me tutte le antiche tendenze a diventar migliore. Queste opinioni costituivano una teoria che giustificava la depravazione dei miei costumi. I miei confratelli in letteratura consideravano che la vita in generale va avanti progredendo e che in questo svolgimento spetta a noi, pensatori, la parte principale e, fra i pensatori, gli artisti e i poeti hanno la massima influenza. La nostra vocazione è quella d’istruire gli uomini.

Perchè non ci si rivolgesse neppure la domanda naturalissima: Che cosa so, e che cosa devo insegnare? si spiegava con la teoria che era inutile esser ben fissi su quel punto, giacchè l’artista e il poeta insegnano inconsciamente.

Io ero considerato come un artista eccelso e un grande poeta: naturalmente dunque adottai quella teoria. Artista e poeta, io insegnavo ciò che neppure sapevo. Mi si pagava per questo;