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78 le confessioni d’un ottuagenario.

gne piene di alberi, e in qualche luogo tanto stretta da potervi a stento camminar di fronte quattro persone: siccome poi ognuno di noi per le abbondanti tracannate di ribolla voleva il posto per quattro, così s’era sempre lì lì per traboccare nel fosso qualcuno. Ridevamo insieme cantando anche come si poteva meglio col vino che ci gorgogliava quasi in gola, quando ad un gomito della via io vedo come una figura nera che scavalca il fosso di slancio, e mi capita addosso a modo d’una bomba. Io mi ritraggo d’un passo quando quella figura mi dice «Ah! sei tu!» e mi dà una buona insaccata nelle spalle e mi manda a ruzzolar nel pantano come un sacco di carne porcina. Io poi mi levo puntandomi coi gomiti sul terreno, e veggo quella figura che rifà il suo salto e scompare via nel bujo della campagna. Allora solo m’accorsi che avea perduto il berretto e mi chinava sulla strada per cercarlo; e bisogna dire che, o dalla campagna si vedesse abbastanza chiaro sulla strada, o che i miei occhi fossero che facevano il bujo, perchè quello del salto mi vide curvarmi a cercare e così dalla lunga mi gridò che mi mettessi pure il cuore in pace perchè la mia cresta se l’aveva portata via lui, per farne bello l’asino al giorno dopo. Udendo queste parole mi risovvenne della Cernida, e a’ miei compagni tornò l’anima nel corpo perchè a loro occhi quell’apparimento aveva tutto l’aspetto d’una diavoleria. Conosciuto poi che cos’era, volevano ad ogni costo trarne vendetta, ma il fosso era largo, e nessuno si fidò tanto delle proprie gambe da tentar il salto, segno che avevamo ancora un briciolo di giudizio chiaro. Perciò tirammo innanzi promettendoci di ricattarsi al domani; e così fu infatti che ci fermammo tutti a Mendrisio la notte, e il giorno dopo tornammo in fiera facendo un esame di tutte le Cernide e di tutti gli asini nei quali ci abbattevamo. E quando ci abbattemmo in quello che aveva fra le orecchie incollato sulla fronte colla pece il mio