Pagina:Le confessioni di un ottuagenario I.djvu/116

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capitolo secondo. 89

esercitava più utilmente nei soccorsi che distribuiva alle povere donne del paese, senza aver nulla perduto della sua grazia infantile. Amava ancora gli augelletti ed i fiori, ma vi pensava meno, allora che il tempo le era tolto da cure più rilevanti; e del resto la sua serenità durava ancora la stessa, fatta semprepiù incantevole dalla coscienza che la irraggiava d’una sicurezza celeste. Quando dopo aver ajutato la nonna a spogliarsi ella entrava nel tinello, e sedeva vicino al tavolino ove giocava sua madre, col suo ricamo bianco in una mano e l’ago nell’altra, la sua presenza attirava tutti gli sguardi, e bastava a raggentilire per un quarto d’ora la voce ed i discorsi dei giocatori. La contessa, che aveva sufficiente avvedutezza, notava questo effetto ottenuto dalla figlia e n’era anche discretamente gelosa. Colla sua cuffia di merlo e con tutta la boria di casa Navagero scolpita sulla fisonomia, ella non avea mai ottenuto altrettanto. Perciò se dapprima la si sforzava di moderare la loquacità soventi volte sussurrona e villanesca della compagnia, in quel momento di tregua la s’indispettiva di non udirla continuare, ed era ella la prima a stuzzicare il capitano o l’Andreini perchè ne dicessero delle loro. Il signor conte gongolava, vedendo la moglie prender piacere alla conversazione del castello; e monsignore sbirciava la cognata di traverso, non comprendendo da che cosa derivassero que’ suoi accessi affatto insoliti, e un po’ anche stizzosi di affabilità. Io era piccino allora, eppur dal buco della serratura donde rimaneva qualche tratto spettatore del gioco, comprendeva benissimo la stizza o il buono umore della contessa; lo comprendeva anche la Clara; perchè mi ricordo ancora, che se il capitano o l’Andreini rispondevano di malgarbo agli inviti dell’illustrissima padrona, un lieve rossore le colorava le tempie. Mi par ancora di vederla, quell’angelo di donzella, raddoppiar allora di attenzione sul suo ricamo, e per la fretta imbrogliarsi le dita nel filo. Son poi sicuro