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126 le confessioni d’un ottuagenario.


dalla porta del castello fino a quella di cucina. Là mi saltò addosso Martino.

— Furfantello! scapestrato che sei! non la farai la seconda volta, te lo giuro io! arrischiarti di notte per questo buio fuori casa! —

Anche qui la parlata fu il meno, il più si erano gli scappelletti che l’accompagnavano. Se tanto mi toccava dagli amici, figuratevi poi che cosa dovessi aspettarmi dagli altri!.. Il capitano che giocava all’oca con Marchetto s’accontentò di menarmi un buon pugno nella schiena dicendo che la mia era tutta infingardaggine, e che dovevano consegnarmi a lui per averne un buon risultato de’ fatti miei. Marchetto mi tirò le orecchie con amicizia, la signora Veronica, che si scaldava al fuoco, tornò a ribadirmi le sculacciate di Germano, e la vecchiaccia unta della cuoca mi menò un piede nel sedere con tanta grazia, che andai a finir col naso sul girarrosto che girava.

— Giusto proprio! sei capitato a tempo! — si pensò di dire quella strega: — ho dovuto metter in opera il girarrosto, ma giacchè ci sei tu non fa più di mestieri. —

Con tali parole ella avea già cavato la corda dalla carrucola, e dato a me in mano lo spiedo dopo averlo preso fuori dalla morsa del girarrosto. Io cominciai a voltare e a rivoltare, non senza essere assalito e bersagliato dalle fantesche e dalle cameriere, mano a mano che capitavano in cucina: e voltando e rivoltando pensava al piovano, pensava a Fulgenzio, pensava a Gregorio, a monsignore, al confiteor, al signor conte, alla signora contessa ed alla mia cuticagna! Quella sera, se mi avessero sforacchiato parte per parte collo spiedo, non avrebbero fatto altro che diminuirmi il martirio della paura. Certo io avrei preferito veder arrostita la mia cuticagna, piuttostochè abbandonarla per tre soli minuti alle mani della Contessa; e in quanto alla conciatura, trovava nella mia idea assai più fortunato