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170 le confessioni d’un ottuagenario.

colpa dello schioppo se la vecchiaia gli ha limato i denti. Si porta la fiaschetta della polvere, e la stoppa e i pallini; si possono ben portare anche le pietre.

— Sicuro: lei è robusto e non si sgomenta per ciò; — soggiunse la Doretta.

— Le pare? per quattro pietruzze? non so nemmeno d’averle — riprese il giovine riponendole in tasca. — Io poi potrei portar anco lei di gran corsa fino a Venchieredo, che non sfiaterei più della canna del mio schioppo. Ho buone gambe, ottimi polmoni, e vo e torno in una mattina dai paludi di Lugugnana.

— Caspita, che precipizio! — sclamò la fanciulla. — Il signor Conte quando scende colà a caccia, non ci va che a cavallo e resta fuori tre giorni.

— Io poi sono più spiccio; vo e torno come un lampo.

— Senza prender nulla però!

— Come senza prender nulla? Le anitre, per fortuna, non impararono ancora la malizia dei beccaccini; e aspetterebbero il comodo del mio fucile non un mezzo minuto ma una mezz’ora. Io non vengo mai di là che colla bisaccia piena. Gli è vero che vado a cercare il selvatico dove c’è; e che non mi spavento di sprofondarmi nel palude fino alla cintola.

— Misericordia! — sclamò la Doretta — e non ha paura di rimanervi seppellito?

— Io non ho paura altro che dei mali che mi son toccati davvero, — rispose Leopardo — ed anco di quelli non mi prendo gran soggezione. Agli altri poi non penso nemmeno; e siccome fino ad ora non son morto mai, così non avrei la menoma paura di morire, anco se mi vedessi spianata in viso una fila di moschetti! Bella questa di farsi paura d’un male che non si conosce! Non ci vorrebbe altro!