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202 le confessioni d’un ottuagenario.

perder le gambe. Allo stesso tempo anche il Venchieredo aveva squadrato all’ingrosso quella cartaccie, e ne avea odorato il contenuto.

— Veggo che per oggi non c’intenderemo, signor conte! — diss’egli con la solita arroganza. — Si raccomandi alla protezione del Consiglio dei Dieci e di Sant’Antonio! Io resto col piacere di averla riverita. —

Così dicendo andò giù per le scale, lasciando il giurisdicente di Fratta affatto fuori dei sensi!

— E così?... se n’è andato? — disse costui quando rinvenne dal suo smarrimento.

— Sì, Eccellenza! se n’è andato! — ripetè Fulgenzio.

— Guarda, guarda, cosa mi scrivono? — riprese egli porgendo il piego al sagrestano.

Costui lesse con nessuna sorpresa un mandato formale di arrestare il signor di Venchieredo, ove se ne porgesse il destro senza pericolo di far baccano.

— Ora è partito, è proprio partito, e non è mia colpa se non posso farne il fermo, — rispose il conte. — Tu sei testimonio che egli se n’è ito prima ch’io avessi compreso a dovere il significato dello scritto!

— Eccellenza, io sarò testimonio di tutto quello che comanda lei!

— Pure sarebbe stato meglio che il cavallante avesse tardato una mezz’ora!... —

Fulgenzio sorrise da par suo; e il conte andò in cerca del cancelliere, per partecipargli il nuovo e più terribile imbroglio nel quale erano invischiati.

Chi fosse Fulgenzio, e quale il suo uffizio, voi ve lo immaginerete come me lo immagino io; ed erano frequenti simili casi, nei quali la Signoria di Venezia adoperava il più abietto servidorame per invigilare la fedeltà e lo zelo dei padroni. Quanto al Venchieredo, in onta alla sua apparente tracotanza, ne ebbe una gran battisoffia dalla lettura