Pagina:Le confessioni di un ottuagenario I.djvu/232

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capitolo quinto. 205

l’infinito, così l’uomo d’ogni lato si perde nell’umanità. Gli argini dell’egoismo, dell’interesse e della religione non bastano; la filosofia nostra può aver ragione nella pratica; ma la sapienza inesorabile dell’India primitiva si vendica dei nostri sistemi arrogantelli e minuziosi nella piena verità della metafisica eterna.

Intanto avrete notato che nel racconto della mia infanzia i personaggi mi si sono moltiplicati intorno, che è un vero spavento. Io stesso ne sono sgomentato; come quella strega che si spaventava dei diavoli dopo averli imprudentemente evocati. È una vera falange che pretende camminar di fronte con me, e col suo strepito e colle sue ciarle rallenta di molto quella fretta ch’io avrei d’andar innanzi. Ma non dubitate; se la vita non è una battaglia campale, è però un viluppo continuo di scaramuccie e badalucchi giornalieri. Le falangi non cadono a schiere come sotto al fulminar dei cannoni, ma restano scompaginate, decimate, distrutte dalle diserzioni, dagli agguati, dalle malattie. I compagni della gioventù ci lasciano ad uno ad uno, e ci abbandonano alle nuove amicizie, rade, guardinghe, interessate della virilità. Da questa al deserto della vecchiaia è un breve passo, pieno di compianti e di lagrime. Date tempo al tempo, figliuoli miei! Dopo esservi raggirati con me nel laberinto allegro, vario e popoloso degli anni più verdi, finirete a sedere in una poltrona, donde il povero vecchio stenta a mover le gambe e pur s’affida a forza di coraggio e di meditazioni al futuro, che si stende al di qua e al di là della tomba. Ma per adesso lasciate che vi mostri il mondo vecchio; quel mondo che bamboleggiava ancora alla fine del secolo scorso, prima che il magico soffio della rivoluzione francese gli rinnovasse spirito e carni. La gente d’allora non è quella d’adesso: guardatela e fatevene specchio d’imitazione nel poco bene, e di correzione nel molto male. Io superstite di quella nidiata, ho il diritto di parlar chiaro: