Pagina:Le confessioni di un ottuagenario I.djvu/263

Da Wikisource.
236 le confessioni d’un ottuagenario.

— Se gli insegnerò il modo? Mi basterà un fischio, e Marchetto ci butterà la tavola. Dopo lasci fare a me, che passerà l’acqua senza bagnarsi, purchè abbia l’avvertenza di imitarmi e di star ben in bilico sulla tavola.

— Andiamo dunque! —

E Lucilio mi prese per mano; e rasentando alcune folte siepaie, dietro le quali è impossibile affatto l’esser veduti anche di giorno, io lo condussi in un batter d’occhio in riva alla fossa. Lì fischiai com’eravamo d’intesa, e Marchetto fu pronto ad accorrere e a buttarmi la tavola.

— Così presto? — mi diss’egli dall’altra banda del fosso, perchè la maraviglia vinse pel momento ogni altro riguardo.

— Zitto! — risposi io mostrando a Lucilio il modo di adagiarsi sulla tavola.

— Chi c’è? — soggiunse più sorpreso ancora il cavallante, che cominciava allora a distinguere nel buio due figure in vece di una.

— Amici, e zitto! — rispose Lucilio; e poi egli stesso, come pratico del mestiere, diede una spinta che ci menò proprio a baciare pulitamente l’altra riva.

— Son io, son io! — diss’egli saltando a terra; e porto buone notizie della contessina Clara!.....

— Davvero? sia lodato il Cielo! — soggiunse Marchetto sgomberandogli la strada per aiutar me a ritirare la tavola dall’acqua.

Quando s’entrò in cucina aveano finito allora allora di recitare il rosario. Il fuoco era spento, chè del resto non avrebbero potuto reggere in quel luogo colla caldana della state; nessuno pensava alla cena, e solamente monsignor Orlando gettava di tanto in tanto sulla cuoca qualche occhiata irrequieta. Anche Martino s’era messo taciturno e imperterrito a grattare il suo formaggio; ma tutti gli altri avevano tali facce da far onore ad un funerale. La