Pagina:Le confessioni di un ottuagenario I.djvu/286

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capitolo quinto. 259


Gaetano e ogni altro impiccio, Leopardo Provedoni ottenne finalmente in isposa la Doretta. Il signor Antonio se ne dovette accontentare; come anche di vedere lo Spaccafumo, in onta ai bandi e alle sentenze, assistere e far grande onore al pranzo di nozze. Gli sposi furono stimati i più belli che si fossero mai veduti nel territorio da cinquant’anni in poi; e i mortaretti che si spararono in loro onore nessuno si prese la briga di contarli. La Doretta entrò trionfalmente in casa Provedoni: e i vagheggini di Cordovado ebbero una bellezza di più da occhieggiare durante la messa delle domeniche. Se la forza erculea e la severità del marito sgomentava i loro omaggi, li incoraggiava invece continuamente la civetteria della moglie. E tutti sanno che in tali faccende sono più ascoltate le lusinghe che le paure. Il cancelliere di Venchieredo, rimasto padrone quasi assoluto in castello durante la minorennità del giovane giurisdicente, rifletteva parte del suo splendore sopra la figlia: e certo nei giorni di festa ella preferiva il braccio del padre a quello del marito, massime quando andava a pompeggiare nelle festive radunanze intorno alla fontana.

Anche la mia sorte in quel frattempo s’era cambiata di molto. Non era ancora in istato di pigliar moglie, ma aveva dodici anni sonati, e la scoperta dei finti cappuccini mi avea cresciuto assai nell’opinione della gente. La contessa non mi aspreggiava più, e qualche volta sembrava vicina a ricordarsi della nostra parentela, benchè si ravvedesse tosto tosto da quegli slanci di tenerezza. Però non si oppose al marito, quando egli si mise in capo di avviarmi alla professione curiale, aggiungendomi intanto come scrivano al signor cancelliere. Finalmente ebbi la mia posata alla tavola comune, proprio vicino alla Pisana, perchè le strettezze della famiglia, che continuavano con una pessima amministrazione, aveano fatto smettere l’idea del convento anche riguardo alla piccina. Io seguitava a taroccare, a