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270 le confessioni d’un ottuagenario.


Venezia. Un caffè ogni due usci, davanti a questo la solita tenda, e sotto, dintorno a molti tavolini un discreto numero d’oziosi; leoni alati a bizzeffe sopra tutti gli edifici pubblici; donnicciuole e barcaiuoli in perpetuo cicaleccio per le calli e presso ai fruttivendoli; belle fanciulle al balcone dietro a gabbie di canarini o vasi di garofani e di basilico; su e giù per la podesteria e per la piazza toghe nere d’avvocati, lunghe code di notari, e riveritissime zimarre di patrizii; quattro schiavoni in mostra dinanzi le carceri; nel canale del Lemene puzzo d’acqua salsa, bestemmiar di paroni, e continuo rimescolarsi di burchii, d’ancore e di gomene; scampanio perpetuo dalle chiese, e gran pompa di funzioni e di salmodie; madonnine di stucco con fiori, festoni e festoncini ad ogni cantone; mamme bigotte inginocchiate col rosario; bionde figliuole occupate cogli amorosi dietro le porte; abati cogli occhi nelle fibbie delle scarpe, e il tabarrino raccolto pudicamente sul ventre; nulla, nulla insomma mancava a render somigliante al quadro la miniatura. Perfino i tre stendardi di San Marco avevano colà nella piazza il loro riscontro; un’antenna tinta di rosso, dalla quale sventolava nei giorni solenni il vessillo della Repubblica. Ne volete di più?.... I Veneziani di Portogruaro erano riesciti collo studio di molti secoli a disimparare il barbaro e bastardo friulano che si usa tutto all’intorno, e ormai parlavano il veneziano con maggior caricatura dei Veneziani stessi. Niente anzi li crucciava più della dipendenza da Udine, che durava a testificare l’antica loro parentela col Friuli. Erano come il cialtrone nobilitato, che abborre lo spago e la lesina perchè gli ricordano il padre calzolaio. Ma pur troppo la storia fu scritta una volta, e non si può cancellarla. I cittadini di Portogruaro se ne vendicavano col prepararne una ben diversa pel futuro, e nel loro frasario di nuovo conio l’epiteto di friulano equivaleva a quello di rozzo, villano, spi-