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le confessioni d’un ottuagenario. |
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maturi, un’innamorata non alta da terra quattro spanne! — Ma la era proprio così; e io dovetti persuadermene coll’onniveggenza della gelosia. La terza e la quarta volta che s’andò in casa Frumier io ebbi ad osservare un maggiore studio nella piccina di adornarsi, d’arricciarsi, di cincischiarsi. Nessun abito le pareva bello abbastanza; nessun vezzo soverchio; nessuna diligenza bastevole per la lisciatura dei capelli e delle unghie. Siccome questa smania non l’aveva avuta nè la prima nè la seconda volta, così io m’immaginai subito che non fosse nè per la solita vanità femminile, nè per essere ammirata dalle signore. Qualche altro motivo vi dovea covar sotto, ed io, sciocco allora come sempre in queste faccende, deliberai di chiarirmene tosto. Il martirio della certezza mi parea già fin d’allora meno formidabile dei tormenti del dubbio; poi mano mano che venni acquistando quelle crudeli certezze, mi toccò ogni volta rimpiangere la sdegnata felicità di poter tuttavia dubitare. Il fatto sta che quando i servitori salirono a portare il caffè, io scivolai con essi nella sala, e mezzo nascosto dietro la portiera mi posi alla vedetta di quanto succedeva. Vidi la Pisana fissa sempre cogli occhi a guardare Lucilio, come volesse mangiarlo. La sua testolina girava con lui come quella del girasole: quand’egli parlava con maggior calore, o si volgeva dalla sua banda, vedevo il suo piccolo seno gonfiarsi arrogantemente come quello d’una vera donna. Non parlava, non fiatava, non vedeva altro; non si moveva e non sorrideva che per lui. Tutti i segni dell’amore più intenso e violento erano espressi dal suo contegno; solamente l’età così tenera salvava lei dai commenti e dai sospetti delle signore, come la modestia avea salvato sua sorella. Io tremava tutto, sudava come per febbre, digrignava i denti, e mi aggrappava colle mani alla portiera quasi mi sentissi vicino a morte. Allora mi balenò alla mente il perchè la Pisana mi avesse serbato il broncio in questi ultimi giorni, e