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316 le confessioni d’un ottuagenario.

signore. Allora tutti furono addosso con grandi rimproveri a Leopardo; la Doretta non vociava, non strepitava, ma si fingeva offesa dai sospetti ingiuriosi del marito. Questi sincero, credenzone, e avvezzo ad arrendersi a lei in ogni altra cosa pel cieco affetto che le portava, confessò di essere stato ingiusto; e pur di non vederla patire, consentì che l’andasse a trovare suo padre a Venchieredo, com’era stata sua usanza prima che Raimondo fosse uscito di collegio.

Il giovine castellano accolse con molta umanità la sua sorella di latte; si stupì di non averla mai trovata in casa le molte volte che era stato a Cordovado per salutarla, e andò anche in collera perchè non gli avesse ancora fatto conoscere suo marito. Leopardo fu persuaso alla fine che le apparenze lo avevano ingannato sulle mire di Raimondo; innamorato della moglie com’era, se ne lasciò dir tante, che finì col domandarle scusa; e poi s’affrettò a far visita con lei al castellano, e tornò a casa edificato di tanta affabilità, di tanto riserbo, benedicendo anche lui il padre Pendola, e permettendo alla moglie d’andare a stare a Venchieredo quanto più le piacesse. Così s’era venuto perfezionando Raimondo nelle sue arti di feudatario; e di pari passo, anche la sua idolatria per la Clara aveva imparato modi più discreti ed accorti. La contessa, temendo ch’egli si raffreddasse, credette giunto il momento di tastare il padre Pendola. Lo invitò parecchie volte a pranzo, lo volle seco alla partita della sera; dimenticò monsignore di Sant’Andrea per andarsi a confessare da lui; e infine quando credette il terreno apparecchiato a dovere, pose mano a seminare.

— Padre, — gli disse ella una sera in casa Frumier, dopo aver abbandonato il gioco per non so qual pretesto, ed essersi ritirata con lui in un cantone della sala. — Padre, ella è ben fortunato di aver un allievo che le fa onore! —

La contessa volse un’occhiata quasi materna a Raimondo, che ritto dinanzi a Clara, aspettava ch’ella avesse