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348 le confessioni d’un ottuagenario.

ai due lati. Successe un profondo silenzio con grandi inchini d’ambo le parti; pareva che si apprestassero a ballare un minuetto. Io, la Pisana e le cameriere che stavamo ad osservare dalle toppe delle porte, eravamo allibiti per l’imponenza di quella scena. Il signor barone si mise una mano sul petto, e, protesa l’altra innanzi, recitò maravigliosamente la sua parte.

— A nome di mio nipote l’illustrissimo ed eccellentissimo signor Alberto di Partistagno, barone di Dorsa, giurisdicente di Fratta, decano di San Mauro, ec. ec. io barone Duringo di Caporetto ho l’onore di chiedere la mano di sposa dell’illustrissima ed eccellentissima dama la contessa Clara di Fratta, figlia dell’illustrissimo ed eccellentissimo signor conte Giovanni di Fratta e della nobildonna Cleonice Navagero.

Un mormorio di approvazione accolse queste parole, e le cameriere furono lì lì per battergli le mani. Pareva proprio di essere ai burattini. La Contessa si volse alla Clara che le aveva stretta la mano, e sembrava essere più vicina a morire che a maritarsi.

— Mia figlia — prese ella a rispondere — accoglie con gratitudine l’onorevole offerta, e...

— No, madre mia, — la interruppe la Clara con voce soffocata dai singhiozzi, ma nella quale la forza della volontà signoreggiava il tremore della commozione e del rispetto: — No, madre mia, io non mi mariterò mai... io ringrazio il signor barone, ma...

A questo punto le morì la voce, le si estinse sul volto ogni colore di vita, e le ginocchia accennavano di mancarle. Le cameriere, non pensando che così davano a divedere di essere state in ascolto, si precipitarono nella sala gridando — la padroncina muore! la padroncina muore! — e la raccolsero fra le braccia. Dietro esse entrammo curiosamente io, la Pisana, e quanti altri dietro di noi s’erano