Pagina:Le confessioni di un ottuagenario I.djvu/382

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capitolo settimo. 355

io mi misi a gozzovigliare e a trescare coi buli del paese: e in breve divenni il vagheggino di tutte le ragazze contadine ed artigiane. Quando tornava da qualche fiera o sagra sul mio cavalluccio stornello preso a prestito da Marchetto, suonando il mio piffero alla montanara, ne aveva intorno una dozzina che ballavano la furlana per tutta la via. Ed ora mi pare che avrò somigliato una caricatura del sole che nasce, dipinto da Guido Reni, col suo corteggio delle ore danzanti. Però deggio dire che quella vita mi pesava; e fu anche interrotta da un luttuoso accidente, dalla morte di Martino che spirò nelle mie braccia dopo brevissimo male di apoplessia. Io, credo, fui il solo che piansi sulla sua fossa, perchè per allora alla contessa vecchia, già quasi centenaria e rimbambita per la mancanza della Clara, si giudicò opportuno di tacere quella perdita. La Pisana, affidata alla guida poco sicura di quella volpe scodata della signora Veronica, imbizzarriva sempre più, e peggiorava nell’ozio la cattiva piega della sua indole. Il giorno prima che partissi per Padova, io la vidi tornare dal passeggio rossa, scalmanata.

— Che cos’hai, Pisana? — le chiesi col cuore gonfio di lagrime di compassione, e piucchè altro, lo confesso, di quell’amore che era più forte e più grande di me tutto.

— Quel cane di Giulio non è venuto! — mi rispose ella furibonda. — E poi scoppiando in singhiozzi, mi si gettò colle braccia al collo gridando: — Tu sì che mi ami, tu sì che mi vuoi bene tu! — E la mi baciava ed io la baciava frenetico. — Quattro giorni dopo io assisteva alla prima lezione di giurisprudenza, ma non ne capii verbo perchè la memoria di quei baci mi frullava diabolicamente pel capo.

La scolaresca era in gran tumulto, in grandi discorsi per le novelle di Francia che giungevano sempre più guerresche e contrarie ai vecchi governi. Io per me rosicchiava melanconicamente lo scarso pane del collegio e le abbondan-