Pagina:Le confessioni di un ottuagenario I.djvu/396

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capitolo ottavo. 369

bito che si sarebbe anche dimenticata della madre e della sorella, perchè la lontananza fu sempre pe’ suoi affetti un calmante prodigioso. Ma una lettera della contessa, con un poscritto della Clara, la faceva risovvenire ogni due mesi di quella parte di famiglia che viveva a Venezia: siccome poi in quella lettera si davano novelle anche del contino, che era agli ultimi anni della sua educazione, così ogni due mesi le risovveniva di avere un fratello. Gli Zii Frumier erano forse i soli che, lontani o vicini, stettero sempre in mente o sulle labbra alla fanciulla. Quel poter nominare un Senatore, un parente del doge Manin, e dire gli è mio zio, era per lei una discreta soddisfazione, e se la prendeva sovente anche senza una stretta necessità. Giulio Del Ponte e la Veronica le menzionavano sovente suo zio senatore, quando la vedevano sconvolta o annuvolata. A quelle magiche parole si rasserenava, si ricomponeva immantinente per dilagarsi in gran chiacchiere sulla potenza e sull’autorità del senatore, sui suoi palazzi, sulle sue ville, sulle sue gondole, sulle vesti di seta, sulle gemme e sui brillanti della zia. E quanta maggiore splendidezza narrava, tanto più vi scivolava sopra colla lingua senza alcun sussiego, quasi a dimostrare che di cotali cose essa aveva troppa consuetudine per esserne maravigliata. Invece poverina, nè gioje, nè ville, nè palazzi essa aveva veduto mai, fuori del palazzo del Frumier a Portogruaro, e della crocetta di brillanti di sua mamma. L’immaginazione suppliva a tutto, e si comportava alla foggia delle attrici che parlano in commedia dei loro cocchi, dei loro tesori, nè hanno mai cavalcato un asino o fiutato l’odor d’uno zecchino.

Peraltro io mi stupii sempre che col gran magnificare ch’ella faceva l’eccellentissima casa Frumier, rimanesse poi mogia, imbrigliata e quasi uggiosa, quando vi compariva in conversazione. Ora capisco che il solo dover cedere alla

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