Pagina:Le confessioni di un ottuagenario I.djvu/420

Da Wikisource.

capitolo ottavo. 393

— Oh! sono cristiano! — sclamai io con tutto l’ardore dell’anima. — Io credo nel bene, e voglio ch’esso trionfi.

— Non basta volerlo, — soggiunse il padre con una sua vocina melanconica. — Il bene bisogna cercarlo, bisogna farlo perch’esso trionfi davvero. Perciò bisogna darsi corpo ed anima a chi suda, lavora, combatte per il bene, bisogna adoperare le arti stesse de’ nemici a loro danno: bisogna raccogliere intorno al cuore tutta la costanza di cui siamo capaci, armare la mano di forza, il senno di prudenza, e non aver paura di nulla, e durar sempre vigili all’ugual posto; e cacciati tornare, e disprezzati soffrire, dissimulare per rivincere poi; piegarsi sì anche se occorre, ma per risorgere; venire a patti, ma per temporeggiare. Insomma bisogna credere nell’eternità dello spirito per sacrificare questa vita terrena e momentanea alla immortalità futura e migliore.

— Sì, padre. Quest’orizzonte che mi si dischiude agli occhi è tanto vasto, che non ho più l’audacia di piangere le mie piccole sciagure. Allargherò i miei sguardi in esso, e scompariranno le inimicizie che mi danno inciampo. Volerò invece di camminare.

— Davvero, Carlino? così mi piacete; ma ricordatevi che l’entusiasmo non basta senza il corredo d’una buona dose di criterio e di costanza. Ora io vi ho mostrato quali doveri altissimi e nobili reclamano l’opera vostra, e voi vi siete infervorato nella loro splendida pienezza. Ma poi durante la via vi parrà di ricadere nella levità e piccolezza umana. Non vi spaventate, Carlino. Gli è come un passeggiero, che per giungere a Roma dee pernottare molte volte in sucide taverne, e far viaggio con facchini e con vetturali. Soffrite tutto; non abbiate ribrezzo dei passaggi momentanei, sollevate il pensiero alla mèta; tenetelo sempre là! —

Io capiva e non capiva; era abbarbagliato da quelle