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416 le confessioni d’un ottuagenario.

pubblica e alla pace universale. Il vino costava allora pochissimo, e coi tre ducati di mesata passatimi dal conte, io era in grado di partecipare alle agapi di quei capi guasti. Questo entusiasmo politico e filantropico poteva occupar l’animo d’un giovane come io era, non già la religione intrigante, mondana e furbesca del signor avvocato. Forse il vangelo puro di carità e di santità mi avrebbe potuto entrare; ma ad ogni modo il passo era fatto. Divenni un Volteriano battagliero e fanatico. Stetti anche più volentieri che mai a predicare, a disputare fra i miei compagni di studio; e l’esser più simile a loro, me li fece giudicare meno floscii e spregevoli. Il fatto sta che le idee rinfiammano, e che la vita comune del pensiero soffoca o attira a sè l’egoismo privato. Da ciò avviene che l’egoismo inglese è proficuo alla nazione, benchè comune e potente; in altri paesi invece la carità è inutile perchè carnale e slegata. Così quella gioventù, in un sol anno, avea fatto un gran salto: formicolavano ancora le passioni, gli estri, le pigrizie di prima; ma il vento che soffiava da occidente sollevava le menti fuori di quella cerchia compassionevole. In fondo forse la paura, il vizio, l’inerzia poltrivano ancora; ma di sopra si slanciava la fede, capace di grandi cose benchè momentanee in indoli cosifatte. Basta, io me ne accontentava: e d’altra parte conosciuto ben bene Amilcare, io m’era fitto in capo che tutti somigliassero a lui; il che non era pur troppo. Come tutti i giudici che non hanno barba al mento, peccava allora in un estremo come l’anno prima avea peccato nell’altro: assolveva per innocenti coloro che altre volte avea condannato a morte. Amilcare mi trascinava colla sua foga di fede, di entusiasmo, di libertà, colle sue abitudini di spensieratezza, di giocondità e di audacia; con lui il sentimento che non fosse consacrato al bene dell’umanità mi sembrava un sentimento dappoco.

Non mi ricordava di aver vissuto prima d’allora; la