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422 le confessioni d’un ottuagenario.

sione, gli aveva aperto le sale più cospicue della nobiltà. La contessa era inesorabile; ed egli sapeva da fonte sicura che stava in trattative colle monache di santa Teresa perchè la Clara fosse da loro accettata come novizia; soltanto faceva ostacolo la dote, chè la contessa era in grado di pagarne al momento non più della metà, e secondo la regola non potevano accettarla che dopo l’intero pagamento. La giovane si sarebbe piegata ai voleri della madre, e se quel sacrifizio non era già consumato, lo si doveva a quelle differenze d’interesse. Soltanto egli sperava che non avrebbe obbedito quando avessero voluto farla professare, e che non si sarebbe divisa dal mondo colla barriera insormontabile dei voti. Lucilio mi narrava di ciò colla rabbia forzatamente compressa di chi non può vincere un’opposizione giudicata frivola e ridicola; ma da ultimo la sua fronte si era rialzata, e ben si vedeva ch’egli non avea smesso nulla dell’antico coraggio, e che sperava ancora, e che le sue speranze non erano sogni. Quel suo animo vigoroso e prudente non poteva acquetarsi in vane lusinghe, e perciò la sicurezza che travidi nelle sue ultime parole mi diede qualche fiducia. Allora vedendolo più tranquillo gli comunicai la cagione dell’averlo io sì a lungo aspettato, non tacendogli anche, forse con un po’ di furberia, che la Clara stessa mi aveva a lui indirizzato. Parve allora che molte confuse memorie gli balenassero in capo, e tornò a guardarmi come se fosse quello il primo momento che mi rivedeva.

— Da quanto tempo non avete più notizia del padre Pendola? — mi chiese egli senza nulla rispondere alla mia domanda.

— Oh da lungo tempo! — risposi io con qualche stupore di essere interrogato a quel modo. — Credo che col reverendo padre non ce la intenderemo più, e che egli per lo meno non sarà fatto contento del fatto mio.

— Non vi aveva egli dato qualche commendatizia per