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424 le confessioni d’un ottuagenario.

grido e non me ne curo. Gli è, vedete, che omai hanno paura, e che non si corre nessun pericolo. Voi potete narrare quanto vi ho detto all’avvocato Ormenta, ed anche al padre Pendola, che non me ne importerebbe gran fatto.

In ciò dire Lucilio mi guardava con occhi fiammeggianti e severi, tantochè io fui costretto contro l’usanza di chinare i miei. Ma egli ebbe forse compassione di quel mio smarrimento, e mi diede una mano a rialzarmi.

— Quanti anni avete? — mi chiese.

— Presto ne avrò venti.

— Solamente venti? animo allora; eravate un bambino e credevano di mettervi la benda, ma io spero che non vi lascerete infinocchiare, o che vi ravvedrete finchè ne avete il tempo. Coraggio dunque; confessatemi che la vostra amicizia per Amilcare e il vostro interessamento per lui presso di me, è un effetto di consigli altrui, non del vostro spontaneo sentimento...

— Oh chi vuol’ella mai che mi spingesse a ciò!!

— Chi? il padre Pendola per esempio, o l’avvocato Ormenta!

— Essi? tutt’altro: anzi credo che mi sapranno pochissimo grado della mia intrinsichezza con quel giovane; e infatti a lui ho dovuto di essermi disgustato di loro e delle loro trame frivole e disoneste.

— Frivole le loro trame? non tanto, ragazzo mio. Disoneste potrebbe darsi: ma non precipitiamo i giudizii, perchè chi difende la pagnotta ha molti e molti diritti. Credereste voi che il reverendo padre e il degno avvocato sarebbero persone autorevoli e di rilievo, se venisse un buon vento di giustizia che buttasse a terra, sì, che buttasse a terra tutti i privilegi della nobiltà e delle fraterie?... Essi lavorano pel loro utile come gli altri pel proprio: non so cosa dirne! —

Io mi stupii oltremodo di questa maniera di vedere