Pagina:Le confessioni di un ottuagenario I.djvu/485

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458 le confessioni d’un ottuagenario.

esse soltanto. Se ne ravvedano a tempo, e l’Appennino mugolante partorirà non più sorci, ma eroi.

Qualche volta mi spingeva fino a Venchieredo a trovar Leopardo sempre più istupidito dalla tirannia e dalla frivolezza della moglie. Mi ricorda averlo veduto qualche domenica ai convegni vespertini intorno alla fontana. E dire che là gli avea balenato per la prima volta il sorriso della felicità e dell’amore! Allora invece andava col capo chino a braccio della Doretta; e tutti sogghignavano loro dietro; solito conforto dei mariti burlati. Ma aveva almeno la fortuna di non accorgersi di nulla, tanto quella vipera di donna gli teneva in servitù perfino l’intendimento. Oh colei non era certamente l’esemplare d’una di quelle donne superiori a noi, che accennava poco fa! Guai se la femmina traligna! È vecchio il proverbio; la si cangia in diavolo. Raimondo veniva talvolta anche lui alla fontana. Se conversava o scherzava colla Doretta lo faceva senza alcun riserbo, e in modo quasi da mover lo stomaco; se poi non si curava di lei per badare ad altre forosette o civettuole dei dintorni, allora la sfacciata non si schivava dal perseguitarlo, sempre a rimorchio del marito. E dava in tali atti di malgarbo di sdegno e di gelosia, che i capi ameni delle brigate ne facevano il gran baccano alle spalle del buon Leopardo. Gli altri Provedon, che si trovavano presenti a caso, scantonavano per vergogna; ed io stesso doveva allontanarmi; perchè la vista d’una confidenza sì piena e sì indegnamente tradita mi moveva la nausea. Pur troppo peraltro è vero che lo spettacolo delle sventure altrui è conforto alle nostre: per questo avanzando nella vita sembriamo indurirsi alle percosse del dolore, ma non è per abitudine; bensì perchè l’occhio allargandosi d’intorno ci scopre ad ogni momento altri infelici oppressi e bersagliati peggio di noi. La compassione dei mali che vedeva, mi armava di pazienza per quelli che sentiva. La Pisana mi avea