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54 le confessioni d’un ottuagenario.

tino, e raccontandole mi faceva piangere; ma io non seppi mai donde lo avesse saputo. Quanto a mio padre, dicevano che era morto a Smirne dopo fuggitagli la moglie; alcuni asserivano di crepacuore per questo abbandono; altri di disperazione per debiti; altri d’un’infiammazione buscata col bere troppo vino di Cipro. Peraltro la storia genuina non si era ancor potuta sapere, e correva anche una vaga voce nei levantini che prima di morire egli si fosse fatto turco. Turco o non turco lui, a Fratta avevano battezzato me sul dubbio che non lo avessero fatto a Venezia, e siccome la cura di sortirmi il nome fu lasciata al piovano, così egli m’impose il nome del santo di quel giorno che era appunto S. Carlo. Non aveva predilezione per nessun santo del Paradiso quel dabben prete, e nemmen voglia di rompersi il capo per comporre un nome di conio singolare, ed io gliene son grato perchè l’esperienza mi dimostrò in seguito che S. Carlo non val punto dammeno degli altri. La signora contessa aveva abbandonato solo da qualche mese la sua vita brillante di Venezia, quando le capitò il canestro; laonde figuratevi se ne vide con poca stizza il contenuto! Con tutte quelle noie e fastidi che l’aveva, aggiungersele anche questo di aver un bambino da dar a balia — e per giunta il bambino d’una sorella che avea disonorato sè e la famiglia; e impasticciato quel suo matrimonio con un mezzo galeotto di Torcello, che non ci si aveva ancor potuto veder dentro chiaro! La signora contessa, fin dalle prime occhiate, sentì adunque per me l’odio più sincero, ed io non tardai a provarne le conseguenze. Primo punto si giudicò inutile, per un serpentello uscito non si sapeva di dove, prender in casa od assoldare una balia. Perciò io fui consegnato alle cure della Provvidenza, e mi facevano girare da questa casa a quella, dove vi fossero mammelle da succhiare come il porcello di S. Antonio, o il figlio del Comune. Io sono fratello di latte di