Pagina:Le confessioni di un ottuagenario II.djvu/107

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pure era così riboccante ancora di valore e d’affetto! Vi fu un momento ch’egli fece per alzarsi, e mi sembrò quasi di vederlo sospeso da terra in un atteggiamento mirabile d’ispirazione e di profezia. Egli pronunciò fieramente il nome di Venezia; indi ricadde come stanco per tornare alle sue fantasie.

Quando fu presso al gran punto lo vidi aprire le labbra a un sorriso, quale da un pezzo non brillava più su quel volto robusto e maestoso; si mise la mano in seno, e ne trasse uno scapolare su cui affisse a più riprese le labbra. Ogni bacio era più lento e meno vibrato; se ne staccò sorridente per esalar l’anima a Dio, e il suo ultimo respiro gli uscì così pieno, così sonoro dal petto, che parve significare: eccomi finalmente libero e felice! — Quella reliquia, cui aveva consacrato l’estremo alito di vita, cadde nella mia mano all’allentarsi della sua; io la ricevetti come un pegno, come una sacra eredità, e m’inginocchiai dinanzi a quel morto come al cospetto di Dio. Mai non mi venne veduta poi morte simile a quella; il parroco asperse d’acqua benedetta il cadavere e si partì asciugandosi gli occhi, e assicurandomi che gli verrebbe data sepoltura sacra per quanto forse i canoni lo vietassero. Ma la santità di quel passaggio comandava che non si badasse così strettamente alle regole. Allora, rimasto solo, io diedi uno sfogo al mio dolore: baciai e ribaciai quel santo volto di martire, lo cospersi di pianto, lo contemplai a lungo quasi innamorato della pace sovrumana che spirava. Appresi maggior virtù da un’ora di colloquio con un morto, che da tutta la mia convivenza coi vivi. La lucerna era agli ultimi crepiti; il primo luccichio del giorno traspariva dalle persiane, quando mi venne a mente che si stava a me il dare annunzio alla Doretta della morte del marito. Questo pensiero mi fece rabbrividire. Tuttavia mi accingeva a bussare alla porta, quando udii avvicinarsi dietro ad essa un fruscio di passi;