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116 le confessioni d’un ottuagenario.

mai di ripetere. O anime rettrici dei popoli, o menti fiduciose nel futuro, o cuori accesi d’amore, di fede, di speranza, volgetevi all’innocenza, abbiate cura dei fanciulli! — Li stanno la fede, l’umanità, la patria.

L’inventario dell’eredità materna era bell’e terminato; ma tra l’ultima lettera di mia madre e il cartone della busta trovai un foglio con alcune righe scritte a vederle di fresco. Infatti portavano la data di due giorni prima, ed erano di mano di mio padre. Non vi posso nascondere che le guardai quasi con ribrezzo, e pareva che m’abbruciassero le dita. Peraltro quando mi fui calmato lessi quanto segue:

«Figliuolo mio. Tutto ciò che hai letto di tua madre io poteva celartelo per sempre; ringraziami di averla rialzata nella tua stima, a scapito anche di quella che io avessi potuto inspirarti. Ho veduto che hai bisogno di conforti, e ho voluto lasciartene uno a costo di pagarne salata la spesa, io ho sposato tua madre per amore; questo non posso negarlo; ma io credo che non fossi fatto per questa sorta di passioni, e così l’amore mio svampò troppo presto dal capo. La mia partenza pel Levante, le mie fatiche, i miei viaggi colà miravano a un altissimo scopo; in poche parole voleva far dei milioni, e lo scopo lo avrei raggiunto in seguito. Ti confesso che una moglie mi impacciava non poco. Mi si guastò l’umore; la crudeltà con cui io tiranneggiava me stesso riducendo i miei bisogni allo strettissimo necessario, fu creduta da essa una maniera trovata apposta per martoriarla. Le mie continue lontananze, e le preoccupazioni di quel grande disegno che mi frullava sempre in capo, davano motivo ad alterchi, a risse continue. Ella finì col trovarsi ottimamente in qualunque compagnia turca rinnegata che non fosse la mia. Sovente, tornando a casa, io udiva le sue stridule risate veneziane che echeggiavano dietro le persiane; la mia presenza rimenava la