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132 le confessioni d'un ottuagenario.

— Calmati, Pisana, calmati! — le andava dicendo dubbioso ancora di non aver capito a dovere — racconta le cose per ordine: dimmi da che nacquero queste tue ire col signor Minato?... cosa egli chiedeva da te, e cosa tu di rimando pretendevi da lui?

— Cosa egli mi chiedeva?... Che facessimo all’amore insieme, sotto gli occhi del geloso che avrebbe finto di dormire per troppo rispetto alla furia francese!... Cosa io pretendeva da lui?... Pretendeva ch’egli persuadesse, che eccitasse i suoi commilitoni a un atto di solenne giustizia, a contrapporsi concordi alle spergiure concessioni del Direttorio e di Bonaparte, ad unirsi con noi, e a difendere Venezia contro chi domani ne diverrà impunemente il padrone!... Tuttociò ognuno di essi, anche il più imbecille, anche il più pusillanime sarebbe tenuto a farlo, senz’altra persuasiva che la rettitudine della coscienza, e l’aborrimento di comandi ingiusti e sleali!... Ma uno che amasse una donna, e si udisse profferta da lei questa nobile impresa, non dovrebbe anzi fare di più?... Non dovrebbe adottare la patria di quella donna, e ripudiare la propria vergognosamente colpevole d’un tanto misfatto?... Ogni francese che udisse simili esortazioni dalla bocca di colei ch’egli giura di amare, non dovrebbe alzar la visiera come Coriolano, e dichiarare un odio eterno e avventarsi furibondo contro questa Medea che divora i propri parti? — Che resta la patria senza umanità e senza onore?... Manlio condannò a morte i figliuoli, Bruto uccise il proprio padre! Ecco gli esempi per chi ha cuore, e polsi da imitarli!...

Vi confesso ch’io non avrei avuto nè cuore, nè polsi da sfoderare una tirata così violenta come questa della Pisana; ma aveva cuore e intendimento bastevole per comprenderla, onde ammirando piucchè altro quei fieri moti d’un’indole ardente e generosa, mi pentii di averla assai mal giudicata dalle prime parole. Gli epiteti con cui ella