Pagina:Le confessioni di un ottuagenario II.djvu/146

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dalla sua eccessiva confidenza. Poco prima mi doleva di doverla credere noncurante del proprio onore e delle convenienze sociali, allora avrei voluto che la fosse anche più svergognata d’una sgualdrina, purché la stesse contenta della mia compagnia. Guardate come siam fatti! — Peraltro il desiderio grandissimo che nutriva di averla meco non andò tant’oltre, da mettermi in bocca delle menzogne. Le raccontai dunque schiettamente la partenza di mio padre, e come io abitassi soletto quella casa senza neppure una serva che scopasse i ragnateli.

— Meglio, meglio, — gridò ella con un salto battendo le mani. — Tuo padre mi dava soggezione, e chi sa se mi avrebbe veduto di buon occhio. —

Ma dopo questo scoppio di giocondità s’impensierì tutto d’un colpo, e non ebbe fiato di andar innanzi. Le si strinsero le labbra come per voglia di piangere, e le sue belle guance si scolorarono.

— Che hai Pisana? — le chiesi — che hai ora che t’ingrugni tanto? Hai paura di me, o di trovarti con me solo?

— Non ho nulla; — rispose ella un po’ stizzita ma più contro se stessa mi parve che contro nessuno. — E poi fece un pajo di giri per la stanza guardandosi le punte dei piedi. Io aspettava la mia sentenza, col tremito d’un innocente che ha una discreta paura di esser condannato; ma la sospensione della Pisana mi blandiva soavemente il cuore, come quella che mi dava a conoscere che io era proprio amato come voleva io. Finallora quella sua sicurezza a tutta prova e quella soverchia confidenza mi avevano un sapore affatto fraterno, che non mi solleticava punto il palato.

— Dove mi metterai a dormire? — uscì ella a chiedere di sbalzo con un tal tremito di voce, e un così vago rossore sul volto, che la rabbellì cento volte. Mi ricordo ch’ella mi guardò in faccia sulla prima di quelle quattro parole,