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142 le confessioni d'un ottuagenario.


La mattina dopo, non erano ancora le otto che la Pisana mi capitò in camera col caffè. Ella voleva, mi disse, fin dal primo giorno prendere le costumanze d’una buona e diligente massaja. I sogni innamorati della notte nei quali aveva perduto la memoria di tutte le mie afflizioni, la mezza oscurità della stanza protetta contro il sole già alto da cortine azzurre di seta all’orientale, le rimembranze nostre che ci sprizzavano fuori da ogni sguardo, da ogni parola, da ogni atto, la bellezza incantevole del suo visino sorridente, dove le rose si ricoloravano appena allora, di sotto ai madori del sonno, tutto mi eccitava a rappiccare un anello di quella catena ch’era rimasta per tanto tempo sospesa. Presi dalle sue labbra un solo bacio, ve lo giuro, un bacio solo dalle sue labbra; ed anco ne mescolai la dolcezza coll’amaro del caffè. Si dirà poi che al secolo passato non c’era virtù!... Ce n’era sì, ma la costava doppia fatica per la nessuna cura che si davano di educarla in abitudine. Vi assicuro che Santo Antonio non ebbe tanto merito di resistere nel deserto alle tentazioni del demonio, quanto io di ritirare le labbra dalla coppa, prima di avermi levata la sete. Cionullameno io era certo e deliberato a levarmela un giorno o l’altro; questo potrebbe mutare la mia virtù in un raffinamento di ghiottornia. Allora appena fui alzato ci convenne pensare a vivere: cioè ad ire in traccia d’una donna che attendesse alla cucina e ai fatti più grossolani della casa. Non si potea campare di solo caffè, massime coll’amore che ci divorava. Io stesso, per la prima volta in mia vita, mi occupai con tutto il piacere di queste minute feccenduole.

Conosceva qualche comare nel campo vicino, mi raccomandai a questa e a quella, e mi accomodarono d’una serva, che almeno a vederla dovea bastare di per sè a guardare una casa contro i Turchi e gli Uscocchi. Brutta come un accidente, ed alta e scarnata che pareva un grana-