Pagina:Le confessioni di un ottuagenario II.djvu/163

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capitolo decimoquarto. 155

marito aggiungeva mistero all’avventura, e se ne contavano di così strane, di così grosse, che a ripeterle sembrerebbero fole. Chi la vedeva vagare vestita di bianco sotto le Procuratie nella profondità della notte; chi affermava di averla incontrata in qualche calle deserta con un pugnale in mano, e una face resinosa nell’altra, come la statua della discordia; i barcajuoli narravano ch’ella errava tutta notte per le lagune, soletta sopra una gondola che avanzava senza remi, e lasciava dietro a sè per le acque silenziose un solco fosforescente. Alcuni tonfi si udivano di tanto in tanto intorno alla misteriosa apparizione; erano i nemici di Venezia da lei strappati magicamente alla quiete del sonno, e precipitati nei gorghi del canale. Queste chiacchiere immaginose, cui la credulità popolare aggiungeva ogni giorno alcun fiore poetico, garbavano poco o nulla al nuovo governo provvisorio, stabilito dagli imperiali dopo la partenza di Serrurier. Erano sintomi di poca simpatia, e conveniva guarire la gente di questo ticchio poetico. Perciò si davano attorno per iscoprire la dimora della Pisana; ma le indagini rimanevano senza effetto, e nessuno certo si sarebbe immaginato ch’ella abitasse con me, mentre io stesso era creduto a quei giorni ben lontano dalle lagune. La nostra zingara era stata incorruttibile; a qualche sbirro travestito, che era venuto a chieder conto dei padroni di casa, ell’avea risposto che da gran tempo mancavano da Venezia, e così non ci avevano seccato più. Sapendo che mio padre s’era imbarcato pel Levante, mi giudicavano partito con lui, o con quegli altri disgraziati che aveano cercato una patria, o nelle tranquille città della Toscana, o nelle tumultuanti provincie della Cisalpina.

La scoperta fatta da Raimondo Venchieredo mise la sbirraglia sulle mie traccie. Egli ne parlò a suo padre come d’una curiosità; il vecchio volpone ne tenne conto come d’un grosso guadagno, e così, dopo consultatosi col reve-