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Pagina:Le confessioni di un ottuagenario II.djvu/185

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capitolo decimoquinto. 177


tempo destinatomi dalla sorte. Ma che valore ha mai la mia vita pel bene degli altri?...

— Ne ha uno grandissimo, Aglaura! Prima di tutto pei vostri genitori, per vostro fratello che v’ama v’adora, e voi sola ne sapete il quanto! indi perchè vi è un cuore al mondo che ha diritto d’amore e di padronanza sul vostro. Voi amate, Aglaura; voi avete perduto il diritto d’uccidervi, dato che persona possa mai avere questo diritto.

— Ah sì è vero, io amo! — rispose la donzella con un certo suono di voce, che non avvisai se provenisse da affanno di respiro o da amarezza d’ironia. — Io amo! — ripetè ella, e questa volta con tutta la sincerità dell’anima. — Deggio vivere per amare: avete ragione, amico!... Datemi braccio che torneremo a casa.

Io le feci osservare che di colà non si poteva nè salire nè scendere senza pericolo, e che ad ogni modo non sarebbe stata prudenza l’avventurarvisi dopo il suo lungo svenimento.

— Sono più Greca che Veneziana: — sclamò ella rizzandosi alteramente. — Svenni per oppressione di respiro, non per dolore nè per paura; ve ne prevengo e credetemelo. Quanto al partire di qui, se salire non si può, scendere si potrà sempre. Non vedete quanto maestrevolmente ci siamo discesi noi! —

I miei ginocchi s’accorgevano della maestria, ed ella s’era calata a volo, ma non son prove da tentarsi due volte. Tuttavia non opposi obbiezioni, temendo ch’ella mi giudicasse più Veneziano che Greco.

— Laggiù lungo il lago — riprese ella — è un renajo che seguita, mi pare, fino al porto di Bardolino. Messivi i piedi sopra saremo sicuri della strada.

— Il più bello sarà di metterveli i piedi — soggiunsi io.

— Badate, — diss’ella — e seguitemi. —

In queste parole abbrancandosi ad un ramo che spor-